Per me, resta un mistero. Divisi su tutto, gli italiani si compattano solo quando gioca, e in particolare se vince, la Nazionale di calcio. Perché? È un fenomeno che nessun approfondimento sociologico è riuscito a spiegare. Nel 1970, cioè la bellezza di quasi cinquant’anni fa, nel Campionato del Mondo in Messico, la Nazionale vinse una prima partita, neanche ricordo quale, e in tutt’Italia, dai piccoli paesi alle metropoli, i cittadini scesero in piazza, dando luogo a manifestazioni di giubilo imprevedibili. Tutt’ora mi chiedo: certo, non poteva esserci stato alcun accordo, neanche un passaparola. Fu un incredibile comune sentire: dovunque, tutti in piazza, finita la trasmissione televisiva.
Vero è che calcisticamente negli anni precedenti non eravamo un granché, anzi avevamo collezionato miserabili risultati. Nel 1958, in Svezia, non c’eravamo neanche qualificati. Nel 1962, in Cile, fummo tagliati brutalmente fuori, subito, con l’unica giustificazione di arbitraggi ostili. Nel 1966, in Inghilterra, fummo addirittura eliminati dalla Corea (una squadra definita dal nostro vice allenatore “degna di Ridolini”).
Va bene, eravamo in astinenza, desideravamo finalmente un successo, ma quella totale reazione emotiva, ripeto, per me resta un mistero. E da lì cominciò un fenomeno imitativo, un’abitudine. Contro la Germania, in quello stesso campionato, vincemmo 4-3 (sull’evento realizzarono persino un film), e di nuovo tutti in piazza. Ero a Genova, lavoravo al “Secolo XIX”, e confesso: in piazza con gli amici scesi anche io, con la bandiera, una volta chiuso il giornale in tipografia.
Da allora, non solo per la Nazionale, ma il tripudio e gli applausi in piazza e i caroselli in auto si registrano anche per partite importanti di club. Ma solo la Nazionale compatta tutti, dal Piemonte alla Calabria, da Bolzano a Palermo.
Spero sinceramente che stasera alle 20 potremo festeggiare il successo sugli spagnoli (che ci sono assolutamente superiori).
Discussione su questo articolo