Dagli Stati Uniti al resto del mondo per manifestare contro le paghe da fame: i lavoratori dei fast food dei sei continenti si sono uniti, e ora a gran voce chiedono alle multinazionali dell’hamburger stipendi piu’ dignitosi. Ad incrociare le braccia nel corso della prima protesta ‘global’ della categoria e’ stato il personale di grandi catene come McDonald’s, Burger King, Wendys’ e Kfc, in 150 citta’ americane e 33 Paesi del pianeta, tra cui l’Italia (in particolare a Roma, Milano e Venezia) dove i lavoratori si uniranno allo sciopero generale unitario di Cgil, Cisl e Uil sul contratto nazionale del turismo applicato dai fast-food, in programma domani.
In alcuni casi i dirigenti dei ristoranti sono stati costretti a tenere la serranda abbassata per alcune ore, come a Chicago, dove la cucina di un Burger King e’ rimasta chiusa non potendo servire le colazioni. Ma le iniziative sono state tantissime: dai sit-in di protesta ai coloratissimi cartelli esposti nelle citta’ asiatiche in cui si e’ manifestato.
La campagna contro lo sfruttamento dei dipendenti dei fast food e’ nata nel 2012 a New York per chiedere non solo l’aumento del salario minimo da 7,25 dollari a 15 dollari l’ora, ma anche il diritto ad organizzarsi sindacalmente. Da allora, il movimento – da cui e’ nata anche la campagna avviata dal presidente Usa Barack Obama per innalzare il salario minimo – si e’ progressivamente allargato, sino all’incontro mondiale organizzato il 7 maggio nella Grande Mela dalla ‘International Union of Food, Agricultural, Hotel, Restaurant, Catering, Tobacco and Allied Workers Associations’ (Uita), una federazione composta da 396 sindacati di 126 Paesi, per un totale di 12 milioni di dipendenti.
"La lotta per i 15 dollari negli Stati Uniti ha catturato l’attenzione dei lavoratori di tutto il mondo", ha detto Ron Oswald, segretario generale della Uita. "Siamo diventati globali", ha aggiunto Ashley Cathey, dipendente in un ristorante di McDonald’s a Memphis, Tennessee. Dopo sei anni di lavoro, guadagna ancora 7,75 dollari l’ora. Mentre la collega Wendy Gonzales, 25/enne di Chicago, dopo quattro anni ne incassa 8,60 l’ora. Spiega che vive ancora a casa con i genitori e chiede un aumento per potersi pagare un affitto ed essere indipendente. Il colosso dei panini tuttavia replica che i salari sono determinati in base alla mansione e al costo della vita locale.
I dipendenti dei fast food a stelle e strisce sono seguiti dai colleghi di altri 33 Stati, ognuno con richieste specifiche e differenti. Ad Auckland, in Nuova Zelanda, i lavoratori si sono riuniti davanti alla sede di McDonald’s, nelle Filippine c’e’ stato un ‘flash mob’ all’interno di alcuni ristoranti targati McDonald’s, mentre altre proteste sono state organizzate in Giappone, Hong Kong, Corea del Sud, India, Thailandia, Brasile, Argentina, Marocco e Malawi. In Europa la mobilitazione coinvolge cinque Paesi: Belgio, Gran Bretagna, Germania, Irlanda e Italia.
"In Argentina abbiamo ottenuto alcuni diritti ma lottiamo ancora contro una paga troppo bassa", spiega Frances Cabrera, dipendente di McDonald’s. In alcuni casi, invece, si protesta per solidarieta’, anche dove le condizioni economiche sono migliori: lo dimostra il caso di Louise Marie Rantzau. "In Danimarca McDonald’s mi paga 21 dollari l’ora – racconta – ma sono rimasta sorpresa da quanto accade negli Usa. I fast food devono trattare le persone ovunque con lo stesso rispetto".
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