Antonio Amodeo, responsabile della Assistenza meccanica cardiorespiratoria e trapianto di cuore artificiale dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, intervistato dal Tempo parla dell’impianto del mini-cuore che sta salvando la vita ad una bambina di 3 anni. Si tratta di “un dispositivo in titanio composto da una pompa intraventricolare del diametro di 15mm, lunga 5cm che pesa 50 grammi (dimensioni paragonabili a quelle di una batteria stilo), realizzata per supportare la circolazione di pazienti a partire dagli 8 kg di peso e fino a un’età di 10 anni”.
Questo dispositivo viene “collegato ad un cavo addominale per la ricarica che permette la dimissione a casa del paziente. Così si può aspettare il trapianto a casa anziché in ospedale”.
Spiega che il dispositivo “è il frutto di 14 anni di sperimentazioni: 4 anni fa abbiamo testato il primo prototipo, oggi abbiamo la versione definitiva. In Usa il trial clinico inizierà entro l’estate, in Europa dovrebbe partire entro la fine dell’anno, ed entro un anno e mezzo ci auguriamo di avere l’autorizzazione finale. Il Bambino Gesù sarà capofila per il progetto europeo per l’ottenimento del marchio CE del dispositivo”.
La bimba come sta? “Molto bene, è tornata in reparto, è insieme ai genitori, cammina e gioca con l’I-Pad. Ora è in attesa di trapianto. Potrebbe anche andare a casa, ma preferiamo tenerla in osservazione”.
“La pompa è una soluzione ponte in attesa del trapianto di cuore. Nei bambini di questo tipo, al di sotto dei 3 anni, l’attesa media è 8-10 mesi per un trapianto. Ora in ospedale ne abbiamo ricoverati 3″ e “se le premesse di minore morbilità e mortalità verranno confermate dai clinical trial che inizieranno entro il 2018 si tratta di una vera rivoluzione nel mondo dell’assistenza meccanica pediatrica. Per farlo, l’ospedale ha ottenuto dalla Fda americana e dal ministero della Salute italiano il via libera per l’uso ‘compassionevole’ della nuova pompa cardiaca miniaturizzata (l’Infant Jarvik 2015), la cui sperimentazione clinica partirà prossimamente negli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni, infatti per i piccoli pazienti è stato disponibile un solo modello di cuore artificiale para-corporeo, che se da un lato faceva registrare un 70% di sopravvivenza, dall’altro non permetteva la dimissione a casa. Adesso, come detto, tornano a casa dopo l’intervento”. In un ambiente familiare, dove staranno certamente molto meglio che in ospedale.