La domenica no. Monta la protesta, sale alta e forte. Mogli e mariti scendono in piazza al grido “Domenica, no grazie”. Sulla t-shirt bianca hanno fatto stampare la finestra di un carcere con tanto di sbarre e all’interno della stessa un numero. Il quindici che corrisponde a una data, domenica 15 ottobre 2012. “Domenica libera”, in bianco su fondo rosso, a completamento dell’immagine che moglie e mariti porteranno in piazza domenica 15 ottobre. Il significato è esplicito, chiaro, inequivocabile: i dipendenti della grande distribuzione chiedono di non lavorare la domenica e nei
giorni festivi.
Mariti, mogli e fidanzati di commesse e magazzinieri reclamano il diritto delle famiglie a stare insieme almeno nei giorni festivi. Non ne possono più, dopo aver visto intaccare il loro diritto in occasione dell’apertura di Ferragosto. La protesta prende le mosse dalla Toscana. Più precisamente da Prato. Punto di partenza, l’assemblea che ha radunato più di centocinquanta persone.
“Siamo logorati e logorate da questa assurda situazione lavorativa”. L’iniziativa sembra destinata a raccogliere proseliti e adesioni in molte città d’Italia. L’esigenza è comune in quelle regioni, come la Toscana, in cui il regolamento prevede l’apertura anche nei giorni festivi. Nessun attacco ai sindacati, “però la situazione è diventata insostenibile”. Il tam tam sul web rende vasta la protesta. I lavoratori stessi sono rimasti sorpresi dalle dimensioni assunte dall’iniziativa. La protesta è rimbalzata in altre città italiane: gruppi spontanei sono sorti qua e là, decisi a portare avanti questa che s’annuncia come una rivoluzione nell’ambito di un determinato comparto del lavoro. Si sta formando un’unica rete. Ne sentiremo e ne vedremo di belle il 7 ottobre, giorno dell’assemblea regionale e nazionale davanti al centro commerciale i Gigli, a Campo di Bisenzio, due sospiri da Firenze.
“I turni di lavoro festivi assorbono tutti i nostri affetti”, fanno notare i rappresentanti dei lavoratori che chiedono di non lavorare più la domenica e nei giorni di festa. “Rinunce, sacrifici, una vita grigia di solo lavoro, e alla fine ci arrivano, in busta paga, solo quaranta euro al mese”. La rinuncia al tempo libero è il punto nodale della protesta. “Siamo stufi di dover stare dietro il bancone senza alcuna distinzione tra giorni festivi e feriali”. Commessi e commesse di tutte le età dicono stop alle liberalizzazioni. Allo sfogo diretto di commesse, commessi e magazzinieri si unisce quello dei loro familiari. “Siamo vittime anche noi delle aperture selvagge degli esercizi commerciali che succhiano il tempo agli affetti”. Il concetto fondamentale, secondo loro, è facilmente individuabile in una sorta di equazione sociale. “Se è vero che senza un lavoro non è possibile mettere su famiglia, nemmeno lavorando sette giorni su sette è possibile fare progetti”. Questo non significa che si debba disertare il lavoro per partecipare alla manifestazione del 7 ottobre, ma è palese l’invito ai familiari a partecipare in blocco. Mogli, mariti, fidanzati, genitori e figli scendono in piazza per far sentire la loro voce. “Porto con me anche mia figlia: ha sei anni, non riesce mai a vedere suo padre, che ha orari di lavoro poco conciliabili con quelli scolastici di una bambina. Difficilmente riesco a farmi cambiare il turno di lavoro”. In bilico tra lavoro e famiglia, il rischio di smarrire l’equilibrio sta diventando concreto. Dopo le aperture domenicali è cambiato tutto; per molti non esiste più una realtà fuori del lavoro. Il classico cane che si morde la coda: più ore di lavoro, compensate con quaranta miseri euro in più in busta paga, maggiore produttività da parte delle aziende della grande distribuzione, e lo sfumare costante di avere una vita al di fuori del lavoro. Perplesso e preoccupato un magazziniere sposato da poco. “La prospettiva di mettere al mondo un figlio e il pensiero di avere libero sempre solo un giorno libero in mezzo alla settimana non mi consola affatto”. In molti casi, non tutti però, la maggiorazione riconosciuta ai lavoratori per la prestazione domenicale o festiva, non va al di là del dieci per cento. Quei quaranta euro in più in busta paga. I precari, poi, non hanno nemmeno la forza di rifiutarsi per paura di perdere il posto. Zitto e lavora, la domenica e nelle feste comandate. Al settimo giorno non si riposa più. Dove siete, vostre Eccellenze signori Vescovi?
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