La ricorrenza della giornata del lavoro pugliese nel mondo, il 9 agosto, sancita da una legge del Consiglio regionale varata nel 2014, rappresenta l’occasione – scrive la Gazzetta del Mezzogiorno – per una riflessione sui fenomeni migratori.
I pugliesi residenti all’estero, secondo dati recenti dell’anagrafe degli italiani all’ estero (AIRE), rappresentano circa il 9% della popolazione residente che si aggira sui 4 milioni. Tale esodo sembra avere alcune analogie con il flusso migratorio del secondo dopoguerra. Settanta anni fa gli accordi economici intervenuti con la costituzione della MEC (Mercato Comune Europeo), offrirono condizioni più vantaggiose rispetto alle condizioni di lavoro nelle Americhe, con più agevoli condizioni di rimpatrio e con viaggi decisamente meno stressanti di quelli transoceanici.
La messa in moto di un movimento migratorio di massa costrinse persino le Ferrovie dello Stato in Italia ad istituire treni speciali per la Germania e la Svizzera, che attraversavano la Penisola impiegando dalle venti alle trenta ore. Una forte presenza femminile rappresentò un altro elemento caratteristico dell’emigrazione da una realtà agricola ad una industriale. Sembrava anche dissolversi la dimensione clandestina che aveva caratterizzato l’esodo verso la Francia ed il Belgio.
La catastrofe di Marcinelle 1956 con centinaia di vittime tra cui 23 nostri emigrati e la revisione dei trattati relativi al lavoro nelle miniere di carbone furono alla base della nuova destinazione del flusso migratorio. Nel contesto dell’area salentina e delle altre aree agricole della Puglia l’esodo era in stretta correlazione con la forte disoccupazione che dette luogo ad una larga protesta sociale con occupazione di terre.