Benvenuti a Roma, anno Domini 2016. Una città che si appresta ad andare al voto, il prossimo 5 giugno, con le scuole senza carta igienica, le strade piene di buche, le ville storiche abbandonate ai senzatetto. In cui il centrodestra si spacca in quattro e la sinistra non è sicura di arrivare al ballottaggio coi Cinque Stelle, ma ci sono ovunque cassonetti bruciati, rifiuti puzzolenti, topi voraci ed escrementi assortiti, sia umani che animali. Roma è la capitale della sciatteria amministrativa, della corruzione, dell’abusivismo. Dei mezzi pubblici vecchi, sporchi, insicuri, strapieni o, in felice alternativa, mancanti del tutto. E non parliamo, per carità di patria, dello stato delle metropolitane, per accedere alle quali è richiesta una tempra fisica e psichica decisamente superiore alla norma.
Come racconta il libro-inchiesta E io pago (Chiarelettere) di Laura Maragnani, giornalista di Panorama, e Daniele Frongia, ricercatore dell’Istat, Roma oggi è una città che spreca 200 milioni l’anno perché non riesce a gestire il suo patrimonio immobiliare, ne perde altri 200 perché non sa recuperare l’evasione di Imu e Tasi, ne butta 10 per mantenere 249 auto blu al servizio della politica, e regala 400 milioni al Vaticano tra servizi non dovuti e tasse o tributi non pagati. E questo solo per cominciare. «Perché altri 15 milioni» spiega Frongia, «li perde per i ridicoli affitti dei suoi impianti sportivi, altri 35 vengono a mancare a causa dell’evasione della tassa di soggiorno, 20 milioni se ne vanno perché l’Acea (di cui peraltro il Campidoglio possiede il 51 per cento) fa pagare troppo cara ai romani l’energia elettrica per l’illuminazione pubblica, mentre l’extra-costo per gli stipendi di funzionari e dirigenti nelle società partecipate, in buona parte assunti grazie a Parentopoli, si mangia almeno 15 milioni l’anno».
Ben 90 milioni spariscono perché sui mezzi pubblici un terzo abbondante dei viaggiatori non paga il biglietto. E a ben 5 milioni ammontano le bollette per le fontane della Capitale. E gli italiani pagano. Ma quanto? Lo spiega l’archivio della Commissione per la riforma e la razionalizzazione della spesa – di cui Frongia è stato presidente – che per due anni ha vagliato centinaia di delibere, verbali, contratti e bilanci. Risultato? Il caso Roma andrebbe studiato nelle università: è l’esempio perfetto di come non si amministra una città (e tantomeno una nazione).
SOLDI GIA’ BUTTATI La sua tragedia è racchiusa nelle tabelle citate nel libro, come i «soldi che abbiamo già buttato», oltre 4 miliardi: è un inizio (solo un inizio!) della mappatura dei costi e degli extracosti sostenuti per le grandi opere incompiute e/o abbandonate, a partire dalla Città dello Sport, voluta da Walter Veltroni e progettata da Santiago Calatrava, che doveva essere pronta per i mondiali di nuoto del 2009. Quanto è costata fino ad oggi quella desolazione di cemento e vetri rotti? La differenza tra il primo e l’ultimo preventivo è di 600 milioni. Non resta indietro però la Nuvola di Massimiliano Fuksas all’Eur, 300 milioni di scostamento tra preventivo e consuntivo, o la metro C, aperta a pezzi e bocconi, che ha sfondato i preventivi per 800 milioni.
SOLDI CHE POTREMMO EVITARE DI BUTTARE VIA Ancora più scandalosa è però la seconda tabella, i famosi 1.200 milioni che «potremmo evitare di buttare via ogni anno», tra cui un centinaio di milioni per gli sprechi delle municipalizzate e delle partecipate e ben 400 milioni per i «servizi non dovuti che vengono offerti gratuitamente alla Chiesa», il supporto per i grandi eventi di piazza San Pietro (sicurezza, pulizia, trasporti, transenne), i regali alle parrocchie, l’Imu e l’Ici mai pagate, la tassa sui rifiuti latitante e la tassa di soggiorno idem, gli affitti a prezzi da barzelletta per confraternite, parrocchie, esorcisti. E qui si arriva a quello che è forse la più grande vergogna del Campidoglio: la pessima gestione del suo patrimonio immobiliare.
PESSIMA GESTIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE Non si sa quante e dove siano tutte queste case, chi ci abiti, a che titolo, da quanto tempo. L’80 per cento degli inquilini è moroso. Su 54.996 beni di proprietà comunale, la commissione ha stimato un danno economico di almeno 150 milioni l’anno solo a causa degli affitti insensati di ville, case e negozi. Ben 15 milioni il Campidoglio potrebbe incassarli adeguando l’importo delle concessioni balneari e delle aree limitrofe destinate a parcheggi privati, e altri 10 rivedendo all’insù i canoni dei grandi impianti sportivi. Applicandosi un po’, insomma, il modo per incassare qualche soldarello e non pesare sulle spalle degli italiani ci sarebbe. Applicandosi, però.
CLASSE POLITICA MACIULLATA Roma oggi non solo ha una classe politica dimezzata dagli scandali giudiziari come il «Mondo di mezzo», alias Mafia Capitale, e una macchina amministrativa devastata dalle carriere clientelari, dall’inefficienza (per alcuni uffici il tasso di assenteismo, nell’ultimo trimestre 2015, è arrivato a punte del 30 per cento) e dalle numerose inchieste, «Vitruvio» in primis, che ne hanno messo a nudo la corruzione sistematica. Roma oggi è un disastro che riguarda i romani, che pagano le tasse locali più alte d’Italia (l’addizionale Irpef arriva al 9 per mille) in cambio di servizi indegni, ma anche un danno per l’immagine dell’Italia intera. Ed è una sciagura economica per tutti i contribuenti, che dal 2008 sono costretti ogni anno, puntuali come un orologio, ad accollarsi l’immancabile finanziamento salva-Roma. E’ una gabella che ormai ammonta stabilmente a oltre mezzo miliardo l’anno solo per ripianare il buco che i vari sindaci si sono lasciati alle spalle.
Secondo il Sole 24 Ore, Francesco Rutelli ha trovato 3,6 miliardi di debiti finanziari, e alla fine del suo mandato lo sprofondo era aumentato di 2,31 miliardi. Con Walter Veltroni i debiti ufficiali sono saliti a 6,95 miliardi nel 2007, cioè un miliardo e 21 milioni in più, ma il suo successore Gianni Alemanno, nel 2008, lo ha accusato di aver lasciato le casse vuote occultando anche un debito «contrattualizzato» per quasi 1,3 miliardi. Stimato inizialmente sui 10 miliardi di euro, poi salito a 16,7 miliardi «accertati» nel 2008, alla fine si è arrivati a 22 miliardi e mezzo, quel debito mostruoso è stato appioppato allo Stato. E dopo otto anni è ancora a quota 13,6 miliardi. Ma la folle corsa all’indebitamento non si è fermata: Alemanno ha continuato ad accumulare passività, e così pure Ignazio Marino.
Un tale abisso finanziario, intendiamoci, non è frutto del caso o della sfortuna. E’ il risultato di anni e anni di amministrazione troppo ambiziosa o distratta, nel migliore dei casi, e incapace, connivente o corrotta nel peggiore. I resoconti di Mafia Capitale spiegano quanto destra e sinistra siano state alleate, e per anni, in un sistematico saccheggio delle risorse pubbliche. E la Commissione per la spending review del Campidoglio ha provato a calcolarne pure il costo: oltre 650 milioni. A cui ancora bisogna aggiungere l’impatto sociale della corruzione, ossia la distorsione del mercato, il venir meno di una sana concorrenza, il freno alla crescita economica e agli investimenti (soprattutto esteri), la sfiducia crescente verso la classe politica, l’erosione della qualità del servizio pubblico. Forse è ora di voltare pagina. A Roma, ma anche in tutta Italia.
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