Cominciano ad arrivare i primi numeri sul “disastro Covid-19” che si è abbattuto nel mondo del lavoro e tra i dati peggiori si registra che nel Veneto tra aprile e giugno si sono perse oltre 40 mila posizioni di lavoro. Solo nel 2009 in questa regione si era avuto un trimestre peggiore dal punto di vista dell’occupazione.
In controtendenza i dati di luglio però, che segnano un leggero aumento degli occupati a livello nazionale.
Nel 2011, in piena crisi economica, la Fondazione Nord Est aveva condotto un’indagine sui “Veneti del terzo Millennio”: analizzando circa 800 interviste, i ricercatori avevano concluso che il lavoro rappresentava un elemento cardine e fondante per i cittadini veneti.
Oltre il 50% degli interpellati, infatti, citava il lavoro come caratteristica distintiva della società veneta, come un valore unificante, a prescindere da età, ceto e titolo di studio, un fil rouge che legava orientamenti e comportamenti di gran parte della popolazione.
Indubbiamente il lavoro ricopre ancora oggi un lavoro centrale in questa Regione, non a caso riconosciuta anche dall’esterno come una delle più laboriose del Paese.
Questo non può però bastare per fronteggiare le conseguenze sull’occupazione della pandemia da Covid-19, la quale come è noto ha colpito in modo particolarmente duro questo territorio.
A misurare il crollo dell’occupazione nel secondo trimestre del 2020 è la Bussola dell’Osservatorio di Veneto Lavoro, la quale parla di un saldo negativo – su base annua – in tutte le province venete: in tutto sarebbero state perse oltre 40.000 posizioni lavorative.
Il lockdown imposto per limitare i contagi, l’assenza delle normali attività stagionali legate alla Pasqua, il ritardato avvio delle attività estive: questi i fattori che hanno portato all’aumento della disoccupazione.
Il saldo trimestrale è di – 4.700 posti a Vicenza, di -5.300 posti a Treviso e di -5.600 posti a Padova, mentre è positivo a Venezia e Verona, rispettivamente di + 6.700 e di + 1.400 posizioni. In questi due ultimi casi, ovviamente, l’aumento del secondo trimestre è da ricondurre al forte decremento dei mesi precedenti: le crescite qui indicate sono molto lontane dal poter appianare le perdite subite durante il lockdown. Positivo, seppur leggermente, anche il saldo di Rovigo e Belluno.
«I danni occupazionali relativi alla pandemia Covid-19 iniziano la loro avanzata già durante gli ultimi giorni di febbraio 2020» spiega Carola Adami, head hunter e CEO della società di selezione del personale Adami & Associati «e le stime ci dicono che non saranno recuperabili in tempi brevi, nemmeno in regioni fortemente industrializzate come il Veneto. Spiegare i posti di lavoro persi a causa della crisi sanitaria non è difficile: si tratta in larga parte di rapporti di lavoro conclusi e non replicati e di tante mancante assunzioni, soprattutto nel settore del turismo».
Solamente nel terzo trimestre del 2009, numeri alla mano, il Veneto aveva conosciuto un decremento così forte dell’occupazione, con il volatilizzarsi di oltre 45 mila posizioni di lavoro.
«Guardando oltre il secondo trimestre, e osservando quindi i primi dati della tardiva partenza della stagione estiva» sottolinea Adami «si scorge però un leggero ma chiaro aumento dell’occupazione su base mensile, con l’Istat che dopo 4 mesi di calo ha rilevato in luglio un +0,4% su base nazionale, pari a 85.000 nuove unità». Il peggio sembra insomma essere passato.