Antonio Di Pietro è intervenuto questa mattina ai microfoni di Radio Cusano Campus e sulla morte di Borsellino ha detto: “Il tritolo era pronto anche per me, così hanno raccontato i pentiti. Grazie a Dio con me si sono fermati alla delegittimazione. L’inchiesta mani pulite è stata fermata proprio quando si è collegata investigativamente a mafiopoli. Quando interrogavo imprenditori delle massime imprese del Nord, mi raccontavano come stavano i fatti solo fino a quando non si parlava di Sud. Quando arrivava il momento di parlare di mafia, mi dicevano ‘Di Pietro arrestami, ma se parlo loro mi ammazzano’. Quello che ho scoperto io prima di me lo avevano capito i Falcone e i Borsellino. Quando arrivai al punto, fui costretto a dimettermi da un’opera di delegittimazione per potermi difendere in tribunale da comune cittadino. Sono stato fortunato, ho trovato questo sistema al posto del tritolo”.
Sui depistaggi dopo la morte di Borsellino: “Al funerale di Falcone incontrai personalmente Borsellino e lui mi disse ‘Antonio, facciamo presto, non abbiamo più tempo’. Lui sapeva che ormai si era arrivati a un punto critico. Era arrivata l’informativa dei Ros, c’era anche il mio nome tra quelli che dovevano morire. Io sono stato assistito dal sistema di sicurezza in modo molto determinato. Per un certo periodo io e la mia famiglia fummo mandati all’estero. Andai con un nome di copertura in Costarica per qualche mese. 25 anni fa avevi il criminale di fronte, lo affrontavi, lui aveva la pistola, tu avevi il codice. Oggi il criminale magari non ha più la pistola, ma la legge in mano, e può scriversela come gli pare e piace. Morte di Borsellino strage di Stato? Lo Stato aveva il dovere e la possibilità che accadesse, sia attraverso un sistema di controllo preventivo, sia contrastando più efficacemente la criminalità. Parlerei di uno Stato omissivo in questo senso”.
Discussione su questo articolo