“La vera solidarietà sull’immigrazione? Appoggiare l’Italia a Bruxelles per farle ottenere i fondi che servono a gestire l’ondata umana in arrivo dalla Tunisia. Ma i respingimenti alla frontiera – riporta Alberto Mattioli su LA STAMPA – continueranno e la strada della ridistribuzione degli immigrati nei vari Paesi della Comunità, Roma non si faccia illusioni, è ‘senza uscita’: troppo complicata, troppo macchinosa e soprattutto troppo lunga. È il succo del messaggio che la diplomazia francese manda ai media italiani. Probabilmente da questa parte delle Alpi non piacerà, ma almeno è chiaro: la gestione dell’emergenza non è un problema fra Italia e Francia, ma un problema fra l’Italia e la Ue e fra la Ue e i Paesi da cui gli immigrati partono: in primis, la Tunisia. Anzi, dalle solenni stanze del Quai d’Orsay fanno sapere che sull’argomento Silvio e Sarkò hanno lavorato e lavoreranno insieme, che le linee sono convergenti e che, bontà loro, i francesi sono consapevoli che l’Italia è il Paese più esposto. Però l’idea giusta, per Parigi, è lavorare sui tunisini, per ottenere che siano loro a bloccare i migranti alla partenza, invece di dover litigare all’arrivo per stabilire chi li deve ospitare. Quanto ai respingimenti, la base giuridica è l’accordo bilaterale firmato a Chambéry del ‘97 (e da Prodi, quindi non se ne può dare la colpa a Berlusconi), che consente di rispedire in Italia i clandestini di cui si possa provare, attraverso un ‘elemento oggettivo’, tipo un biglietto del treno, che sono arrivati in Francia appunto da lì (e viceversa: ma, si sa, purtroppo l’Italia è più vicina all’Africa della Francia). Oltre agli immigrati, Parigi rispedisce al mittente anche le osservazioni della commissaria europea Cecilia Wikström, che aveva criticato i metodi spicci della sua polizia: tutto regolare, dicono in sostanza al ministero degli Esteri, i trattati ci autorizzano a fare quel che facciamo, quindi continueremo a farlo. Mistero anche sull’incontro fra Berlusconi e Sarkozy, annunciato da Palazzo Chigi. Che si faccia è certo, – prosegue Mattioli su LA STAMPA – ma la data ancora non c’è. Dovrebbe svolgersi entro la primavera, probabilmente in Italia, e altro non è dato sapere. Il governo francese, però, non gli attribuisce lo stesso peso di quello italiano: in pratica si tratterà di uno dei consueti, periodici vertici italo-francesi, solo reso più urgente dai molti dossier che i due Paesi non vedono allo stesso modo. In effetti, sulla crisi libica i continui ‘strappi’ della diplomazia francese hanno irritato quella italiana. Ma adesso, con Frattini che riconosce il Comitato provvisorio di Bengasi, al Quai d’Orsay si nota con soddisfazione che l’Italia dice quello che la Francia ripete da settimane: l’interlocutore, in Libia, non è più Gheddafi ma chi se ne vuole sbarazzare. Resta l’intenzione di spargere unguenti sulle piaghe italiane: i rapporti, per carità, sono ottimi, i contatti diplomatici frequenti, e se Berlusconi non ha partecipato alla famosa videoconferenza a quattro fra Obama, Cameron, Merkel e Sarkozy la colpa non è di quest’ultimo, dato che si è trattato di un’iniziativa americana. Quindi l’Italia si lamenti semmai a Washington oppure non si lamenti affatto, dato che a Parigi non la si considera affatto di ‘serie B’ né si vuole trattarla come tale. Però affiora un po’ d’ironia quando si fa sapere che si aspetta ancora l’iniziativa italo-tedesca annunciata da Frattini e poi sparita nei meandri diplomatici europei. Insomma, a Parigi vorrebbero farla finita con la polemica con Roma. Che i giornali più critici con Sarkozy e il suo interventismo arabo siano quelli più vicini a Berlusconi, ci può stare. Del resto, l’Italia l’ha avuta vinta sul ruolo di coordinamento militare della Nato, che i francesi volevano assolutamente tenere fuori dalla Libia per non irritare gli arabi e che invece hanno dovuto accettare. Adesso, propone Parigi, seppelliamo l’ascia di guerra. La palla – conclude Mattioli su LA STAMPA – passa a Roma”.
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