“Il generale Tariq Sabir e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif: sono questi i nomi dei quattro ufficiali dei servizi di intelligence del Cairo imputati per la morte di Giulio Regeni e chiediamo che siano scanditi, che cada l’ipocrisia che queste persone non siano informate del processo”: questo l’appello di Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione stampa italiana (Fnsi), pronunciato davanti a uno striscione bianco su cui l’artista Alekos Prete ha disegnato quattro sedie vuote con su scritto i quattro nomi, sovrastati da “La legge è uguale per tutti“. Il contesto è un’iniziativa organizzata oggi a Roma con tante altre associazioni davanti all’ambasciata d’Egitto, in via Salaria, affinché le autorità del Cairo collaborino e affinché il prossimo 31 maggio la Corte costituzionale dia l’autorizzazione a procedere in contumacia per il processo Regeni.
“Da qui al 31 maggio i media diffondano ogni giorno i nomi degli imputati”
Di Trapani ha ricordato l’importanza della “scorta mediatica” per Giulio, il ricercatore friulano trovato morto in Egitto il 3 febbraio 2016 e su cui il processo per sequestro, tortura e omicidio aperto in seguito alle indagini della Procura di Roma è in stallo a causa dell’impossibilità di ottenere gli indirizzi di domicilio dei quattro imputati. Il dubbio sul fatto che i cittadini egiziani siano a conoscenza del processo ha paralizzato il procedimento stesso. Un tassello, quello dei dati anagrafici, che secondo la famiglia Regeni sostenuta dall’avvocata Alessandra Ballerini e tante associazioni venga tenuto intenzionalmente nascosto dal governo del presidente Abdel Fattah Al-Sisi per proteggere i suoi 007.
“La lotta per Regeni non è solo dei giornalisti – ha aggiunto Di Trapani – ma di tutti i cittadini che chiedono giustizia. Però, come presidente del sindacato nazionale, chiedo ai giornalisti di rendere pubblici da qui al 31 maggio ogni giorno su testate, giornali online, radio e tg i nomi dei quattro imputati. È un modo per caricarci di un pezzo della battaglia della famiglia”.
La famiglia: “L’Italia pretenda dall’Egitto gli imputati”
In una lettera inviata al sit-in di Roma, che si è tenuto in contemporanea con un altro a Milano davanti alla sede del consolato d’Egitto, Claudio Regeni e Paola Deffendi hanno scritto: “È tempo che l’Egitto dopo innumerevoli vane promesse collabori con il nostro governo, ed è tempo che il nostro governo pretenda senza se e senza ma che i quattro imputati per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio“.
L’udienza del 31 maggio e la legge Cartabia
Per quel giorno è atteso il parere della Corte costituzionale, a cui i giudici hanno chiesto di dare un’interpretazione della legge Cartabia sulla possibilità di procedere a giudizio in assenza degli imputati egiziani. Beppe Giulietti, ex presidente di Fnsi ed esponente di Articolo 21, in un’intervista con l’agenzia Dire sottolinea: “L’appello è alla Corte, a dare l’autorizzazione: non regge la tesi che siano irreperibili. All’ambasciata Egiziana chiediamo poi di contattare il proprio governo e convincerlo a dare questi nomi, perché sanno tutto. Al nostro governo invece chiediamo di non credere alle barzellette delle autorità egiziane. Capiamo gli interessi economici, sul petrolio e la vendita di armi, ma serve giustizia. Noi non gli daremo tregua. Siamo qui anche per gli altri Giuli e Giulie torturati e uccisi dal regime“.
De Biasio (Festival DirittiI): Le bugie del Cairo sono una vergogna
Danilo De Biasio, Direttore Festival dei Diritti Umani, in occasione del sit-in a Milano davanti il Consolato egiziano ha ribadito che “Noi non siamo giudici, noi facciamo i giornalisti, facciamo il Festival dei Diritti umani. Ed è per questo che è un dovere essere qui oggi, davanti al consolato egiziano per dire che i nomi dei quattro agenti che hanno torturato e ucciso Giulio Regeni devono rispondere alla giustizia italiana e non fare come ora, che fingono addirittura di non essere indagati. È una vergogna a cui bisogna mettere la parola fine”.