Il 2021 è stato un anno molto proficuo per il settore del gaming italiano. Prima di allora, infatti, i dati sul fatturato erano indubbiamente minori. In generale, comunque, è a livello globale che il campo dei videogiochi ha cominciato a sfondare, complice l’insorgere della nuova generazione di console casalinghe, rappresentata a piene mani dall’iconica PlayStation 5. Oggi i videogame non sono più un passatempo per ragazzini, ma per molti sono diventati un vero e proprio lavoro. Non potrebbe essere altrimenti considerando che solo nello Stivale il giro d’affari supera i 2 miliardi di euro, il che ha da subito attirato le attenzioni dell’intera industria dell’intrattenimento. Continuare a giocare per puro diletto è ovviamente possibile, ma ormai il rischio di imbattersi in qualche “pro player” non è da sottovalutare, specie online.
Già, perché i videogiochi sembrano sempre più competitivi. Non si tratta di una mera interpretazione fornita dagli appassionati, in quanto sono le stesse software house a includere appositamente delle meccaniche che possano consentire ai gamer di limare le proprie capacità per formare un vero e proprio repertorio di tecniche eseguibili con un controller in mano, semplicemente attraverso delle rapide e complesse combinazioni di tasti. I giovani si avvicinano al mondo videoludico anche grazie a Internet, seguendo magari i video dei grandi campioni che mostrano come si gioca ad un determinato titolo, se non direttamente gli eventi principali come i più famosi tornei che si disputano in giro per il mondo. Il fatturato italiano relativo ai videogiochi cresce così di circa il 2% all’anno. Nello Stivale quasi la metà della popolazione gioca più o meno abitualmente ai videogame.
Insomma, si tratta di un fenomeno di massa non indifferente, sicuramente impensabile fino ad una manciata di anni fa. Ai tempi del Super Nintendo o della prima PlayStation, i videogiochi venivano visti quasi come una sorta di premio da concedere agli scolaretti quando registravano buoni risultati scolastici o comunque un espediente per tenerli impegnati con attività alla fin fine tutt’altro che dannose, dal momento che secondo alcuni studi i videogame migliorerebbero l’adattamento sociale nei più piccoli. I media hanno speso negli anni fiumi di inchiostro nel tentativo di demonizzare i videogame, ma oggi questi si sono persino evoluti al rango di sport agonistico e sono pronti a fare la loro comparsa addirittura alle Olimpiadi.
Gli esports, ossia sport elettronici, fanno parlare di sé già da diverso tempo, ormai. Molti gamer possono aspirare al professionismo quando riescono a spiccare a livello locale per poi affermarsi su scala nazionale. Non tutti i videogiochi presentano i requisiti per rientrare nella categoria agonistica e a dire il vero non sono poche le discussioni al riguardo. Convincere il CIO a paragonare i videogame allo sport non è stata impresa semplice, ma alla fine era inevitabile: il numero di gamer cresce ogni anno e solo in Italia sono quasi 2.000 le figure professionistiche che gravitano intorno all’industria del gaming. I videogiochi sono sport e dunque lavoro: anche in Italia si è giunti a questa conclusione e così è nata l’Hackademy di Aulab che si propone di formare programmatori, informatici e level designer che vogliono contribuire a sviluppare questo settore anche nello Stivale.
Se si parla di sport, il primo esempio che viene in mente è il calcio. Ecco dunque che la creazione del connubio videoludico perfetto viene automatica. Non è un caso se sono i titoli di simulazione sportiva i più apprezzati da chi vive il gaming con spirito agonistico. In Italia esiste anche la eSerie A, con 14 squadre protagoniste, una sorta di torneo parallelo al campionato reale, che vede i rappresentanti dei vari club sfidarsi periodicamente tra loro per stabilire quale sia la squadra più forte almeno sul piano virtuale. Gli eSports possono riguardare facilmente tutti quei videogiochi ispirati ad attività sportive realmente esistenti, ma non solo: anche i picchiaduro, ad esempio, vengono considerati ormai potenziale materia per professionisti.
Un tempo era necessario possedere 2 controller e invitare un amico a casa per potersi divertire in compagnia per un paio d’ore. Oggi i ragazzi arrivano ad allenarsi anche per metà giornata pur di prepararsi alle grandi competizioni, conciliando comunque il tutto con lo studio. Le prime attrazioni virtuali che avevano suggerito le potenzialità del multiplayer a distanza erano state quelle da sala come il blackjack che si trova online, per intenderci. Applicare la stessa filosofia ai videogiochi richiedeva un lavoro esorbitante e soprattutto una capacità più estesa della rete Internet. Ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine si è arrivati proprio a quel risultato. E tornare indietro non è possibile.