Gli 007 di tutto il mondo li chiamano ‘homegrown mujaheddin’: sono i terroristi della porta accanto, gli immigrati di seconda generazione che aderiscono al jihad. Si tratta di giovani come i fratelli Tsarnaev, responsabili degli attacchi a Boston, di Mohamed Merah, franco-algerino autore della strage di Tolosa del 2012, oppure di Michael Adeboloja, che ieri ha decapitato un suo coetaneo a Londra, il soldato Drummer Lee Rigby. E ancora Naser Habdo, un soldato dell’esercito Usa arrestato nel luglio 2011 con l’accusa di fabbricazione di esplosivi, o il maggiore americano Nidal Hassan, autore della strage di Fort Hood nel 2009 (13 soldati uccisi).
Tutti hanno un percorso comune di "radicalizzazione favorito dalla propaganda sul web", di cui e’ considerato il massimo e piu’ ‘efficace’ artefice Anwar al-Awlaki – l’imam radicale con passaporto statunitense, ideatore del magazine Inspire in lingua inglese e leader dell’Aqap, il ramo yemenita-saudita di al Qaida – ucciso da un drone Usa in Yemen lo scorso anno. Il jihad "non ha confini, non ha leader, si applica ovunque e con tutti i mezzi", e’ una delle sue frasi piu’ diffuse su internet. Sono cresciuti nel disagio sociale o nell’emarginazione delle grandi metropoli, dove l’adesione al radicalismo islamico diviene anche un elemento di caratterizzazione dell’identita’ sociale. Gia’ alcuni anni fa, le intelligence europee e statunitense avevano lanciato l’allarme su cellule "non organiche ad al Qaida", ‘soggetti isolati o micronuclei pronti ad entrare in azione anche in via del tutto autonoma’. Nei tempi piu’ recenti, molti di loro sono partiti per andare ad addestrarsi e poi combattere all’estero, in particolare in Afghanistan e Pakistan. In Siria, secondo le ultime stime dell’antiterrorismo Ue, ci sono "almeno 800 europei" che sono accorsi a ingrossare le fila delle formazioni come il Fronte al Nusra, che ha affermato di ispirarsi al leader di al Qaida succeduto a bin Laden, Ayman al Zawahri.
La minaccia rappresentata dal loro eventuale ritorno "non e’ da sottovalutare", ha detto recentemente il coordinatore anti-terrorismo del club dei 27 Gilles de Kerchove. L’identikit dell’Ue ricalca quello dell’homegrown mujaheddin: si tratta di giovani musulmani delle periferie, di seconda o terza generazione, che sposano la dottrina e l’ideologia jihadista a contatto con le forze combattenti locali. Non tutti pero’ riescono a partire, e alcuni, come successo ieri a Londra, convogliano i propri sentimenti anti-occidentali rendendosi protagonisti di atti ostili in patria. "Stiamo assistendo a una nuova fase del terrorismo nel Vecchio Continente", ha stimato Sajjan Gohel, responsabile dell’International Security alla Asia-Pacific Foundation, con base a Londra. Contrastare questo tipo di terrorismo "e’ piu’ difficile, perche’ si deve dare la caccia a una persona sola". Quanto successo a Londra e’ una forma di "visualizzazione del terrorismo, teso a comunicare rabbia, odio e il fatto che chiunque e’ un possibile obiettivo". Gli attacchi del terrorista della porta accanto "dimostrano che possono avere successo, e scatenare un reale senso di insicurezza. Questo e’ vero terrorismo".
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