Sono originario di una storia politica che per lunghi anni ha simboleggiato la rivoluzione. Successivamente, attraverso scelte non sempre facili, ho sostenuto i grandi mutamenti politici. Poi è arrivato il tempo del riformismo “forte”. Recentemente ho partecipato ad una campagna elettorale all’insegna di “un’Italia giusta” ed infine ho assistito all’immobilismo politico del nostro partito dopo lo smarrimento scaturito dalle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Sono stato “bersaniano” convinto. Nel corso di una stagione Pierluigi Bersani è stato certamente un buon segretario ed una risorsa vera per il paese. Ora, però, credo sia giunta l’ora di tornare a progettare grandi scenari e ad immaginare un futuro per la politica e per l’Italia. La situazione economica, culturale e politica che vive l’Italia e l’Europa intera, richiede un leader coraggioso che sappia prendersi la responsabilità di compiere scelte – fuori dal tatticismo estenuante – e riconnettere la politica con i cittadini. Credo sia giunta l’ora di cambiare passo e uomini. Un cambiamento vero, a prescindere dalle sorti del governo guidato da Enrico Letta. Basta ad un Partito democratico vittima di correnti e gruppi di potere! Occorre un partito che sia strumento di democrazia e non fine ultimo di interessi particolari! Ecco, perché, oggi, con la stessa convinzione dei tempi passati, sostengo che la personalità in grado di gestire e guidare un progetto simile sia Matteo Renzi.
La sinistra deve liberarsi dalla paura di un leader forte. Nel Partito democratico ci vuole un atto di discontinuità per ridare slancio alle organizzazioni territoriali e alla progettualità politica. E per questo occorre una figura di primo piano, fresca e giovane, di forte impatto e consenso popolare. Un uomo fuori dagli schemi che sappia inserirsi nella politica italiana proponendo linguaggi e temi nuovi, che sappia ridare speranza e passione, coraggio ed entusiasmo. Una personalità che scaturisca dal consenso popolare, non il candidato favorito e sostenuto dagli apparati. Un leader che sappia, grazie al suo parlare chiaro, al suo carisma, ed alla sua capacità mediatica, raccogliere il consenso della maggioranza degli italiani.
Non mi piacciono i patti che paralizzano la politica e la fantasia politica degli uomini e delle donne. La politica ha bisogno di dinamicità, movimento, accelerazioni, colpi di freni, cambiamenti di direzione. Senza però smarrire il senso di tutto ciò: una politica al servizio del bene della società. Non mi piace un partito dove prevalgono le vecchie logiche che mi ricordano la Democrazia cristiana. Tanti capi corrente con al vertice non un leader, ma un Amministratore delegato. Quel partito ha avuto un solo leader, Aldo Moro. Purtroppo fu ammazzato perché tentò di seguire una visione, di realizzare un progetto, di cambiare la geografia politica e di potere dell’Italia.
Invece, le ultime dichiarazioni di quasi tutti i dirigenti democratici sottolineano che il Pd deve ripudiare il leaderismo. Perché la sinistra italiana si ostina a difendere una cultura antileader? È forse la sua mediocrità a temerne gli sviluppi? La personalizzazione della politica si è affermata in Italia. Penso ai sindaci, penso ai presidenti delle Regioni. Tutte cariche votate dal popolo. Come sarebbero potuti diventare presidenti Nichi Vendola in Puglia e Rosario Crocetta in Sicilia? All’estero i parlamentari non sono eletti dal popolo con le preferenze? Non è forse anche questa personalizzazione della politica? E che dire delle primarie?
Vi invito a guardare in Europa. Willy Brandt è stato leader della SPD dal 1964 al 1987; Francoise Mitterand, Presidente del Partito socialista francese dal 1969 fino al termine del suo mandato presidenziale nel 1995; Enrico Berlinguer ereditò il Pci di Luigi Longo nel 1972 e lo ha guidato per 12 anni fino alla morte improvvisa; Tony Blair ha rifondato il Partito laburista nel 1994 e poi è stato Premier britannico dal 1997 al 2007. Tutte personalità artefici di forzature e svolte.
Care democratiche e cari democratici, rivolgo un appello a tutti voi: facciamoci sentire anche noi. Evitiamo di restare a guardare nell’attesa che i capi corrente si mettano d’accordo sul candidato ideale per la segreteria del Partito democratico. La prassi democratica che coinvolge direttamente il popolo nella scelta della rappresentanza politica è andata troppo avanti per essere fermata. Indietro non si torna. La democrazia deve spostare sempre più avanti le sue frontiere per adattarsi ai mutamenti che la società e il popolo reclamano. E il leader del Partito democratico deve mettersi alla guida di questo cammino.
*Vicepresidente dell’Assemblea Pd Mondo
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