La crisi economica che tiene stretta l’Italia non molla la presa. Ma come si è arrivati ad essere un Paese a rischio default? Quali sono state le ragioni che hanno obbligato il Parlamento ad approvare una ‘manovra lacrime e sangue’ in appena tre giorni? E quale è stato il motivo per il quale il governo è stato costretto ad intervenire per l’ennesima volta, la terza, con un ‘decreto-manovra’ domani all’esame del Parlamento? La ‘Voce’, testata italiana edita a Caracas, lo ha chiesto a Tito Boeri, docente e ricercatore dell’Università Bocconi, direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, consulente del Fondo Monetario Internazionale, editorialista del prestigioso quotidiano La Repubblica.
Secondo Boeri "i mercati, gli investitori, hanno percepito che le proposte del governo non erano sufficienti. Così, si è innescata una crisi di credibilità che ha messo in gran difficoltà l’Italia; una crisi di credibilità che ha rischiato di avviare quei processi viziosi che purtroppo tutti conosciamo. Sono gli stessi processi viziosi già avvenuti in altre nazioni e che, alla lunga, conducono all’insolvenza del Paese".
Parlando della manovra, "gli ultimi correttivi, quelli aggiunti con il decreto varato dal Consiglio dei ministri venerdì 12 agosto, risultano ancora una volta insufficienti. Come italiano, mi auguro naturalmente che il giudizio dei mercati, alla fine, sia positivo, tenendo conto delle potenzialità Paese. Ma non c’è dubbio che una volta ancora il nostro governo non ha fatto quello che andava fatto, di fronte ad una situazione così difficile". Certo, l’intervento della Banca Centrale d’Europa, che sta acquistando titoli di Stato italiani, è assai gravoso, ma in ogni caso "non può sostituirsi ai mercati".
L’economista è convinto che si possa fare di più e meglio: "Sarebbe stato fondamentale intervenire sulla spesa. Agendo su questa in modo mirato si riuscirebbe ad avere effetti recessivi minori. Questa manovra, invece, sceglie una volta ancora la strada più facile: far pagare a quelli che lo hanno sempre fatto. E, cioè, ai lavoratori dipendenti. Inoltre, c’è da segnalare che i tagli previsti sono tali solo sulla carta e, soprattutto, interessano gli enti locali. Quindi i tagli finiranno col trasformarsi in un incremento di tasse; in un aumento locale della pressione fiscale. Sono già molti i comuni, tante le regioni che hanno fatto alcune addizioni sull’Irpef".
Boeri snocciola alcuni dati: "L’Italia, negli ultimi 5 anni, ha conosciuto una lunga stagnazione. E poi, una pesantissima recessione. Il reddito medio, quello pro-capite, è rimasto ai livelli del 1998-1999. E’ come se l’economia, dal punto di vista del reddito delle famiglie, non fosse cresciuta negli ultimi 12 anni. Siamo l’unico paese dell’area Ocse in queste condizioni. Una manovra come questa non solo non fa nulla per la crescita ma risulta recessiva negli effetti. Rischia, quindi, di rendere più lunga questa situazione. Purtroppo, non vedo provvedimenti orientati a rilanciare la vocazione di crescita della nostra economia".
Il professore univesitario ritiene che molto si potrebbe fare nell’ambito della liberalizzazione dei servizi, “a cominciare dagli ordini professionali per arrivare ai mercati dei beni”. In questi, sostiene Boeri, “vi sono ancora molte formule di protezione; spazio per la concorrenza”. "Da tutto ciò trarrebbero un gran giovamento le aziende. Dove c’è poca concorrenza nei servizi, questi costano di più. Quindi, le nostre imprese affrontano costi superiori rispetto alle concorrenti con le quali si confrontano nei mercati internazionali. Non riescono ad esportare. Questi sono solo alcuni esempi".
Tornando alla manovra che da domani terrà banco in Parlamento ed alla crescita economica, Boeri afferma: "Purtroppo temo che questa manovra non affronti nessuno dei problemi strutturali del Paese. Espone la nazione ad una crisi di credibilità. Dico ‘crisi di credibilità’ perchè non mi piace parlare di attacchi speculativi".
Nell’intervista viene affrontato anche il tema del mondo del lavoro: per quel che riguarda il precariato, Boeri è convinto che “si tratti di un problema sicuramente assai grave”. Da parte nostra, rivendica, "abbiamo presentato alcune proposte. Da diversi anni, abbiamo lanciato l’idea di un contratto unico a tutte le progressive; un contratto unico che permetta di superare il fenomeno del precariato". E spiega: "Il giovane viene assunto subito con un contratto a tempo indeterminato. Ma questo contratto, i primi tre mesi, concede al datore di lavoro la possibilità di licenziamento e al lavoratore tutele che crescono nel tempo". Una proposta che "permetterebbe d’incoraggiare l’assunzione immediata di giovani con contratti senza limiti di tempo” e “di incentivare la formazione. Ed è questo il punto fondamentale. Ieri i giovani erano oggetto di formazione; oggi, purtroppo, non piú. E’ forse questo il dato più inquietante".
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