Il piano di ristrutturazione di RCS è l’inizio della fine. O la fine di un processo che va avanti da molti, troppi anni, e che prelude ad un nuovo inizio. L’editoria italiana è lo specchio del Paese; da anni spaccata e prona in un balletto di qualunquismo ed assenza assoluta di valori. Un tango delle banalità. E ad ogni volteggio un errore, una lunga lista di errori che oggi presenta un conto salato. Fa impressione oggi leggere l’appello della FIEG al prossimo Governo. Sempre le solite cose, le medesime rivendicazioni, gli stessi slogan. Il primo, la liberalizzazione della rete di vendita, quella che ha ispirato la sperimentazione, più giornali venduti attraverso l’apertura di nuove rivendite. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, in quindici anni o poco meno hanno chiuso circa diecimila edicole e sono falliti gran parte dei distributori locali. Il sistema distributivo è imploso, altro che sviluppo. E, poi, le litanie sui contributi diretti, sostegno sì, ma sotto altre forme, pensare allo sviluppo. Il costo pubblico e privato delle ristrutturazioni delle imprese editoriali, piccole e grandi, ha di gran lunga superato quello del sostegno diretto. Il problema non sono i controlli, ma l’assenza totale di strategia. Da parte degli editori, che troppo presi dalla ristrutturazione dei costi si sono dimenticati dei prodotti; e da parte della politica che troppo presa dagli spread e dalle Ruby ha abbandonato un settore. A se stesso. Mentre la sempre potentissima federazione nazionale della stampa stipulava un contratto nazionale che garantiva miglioramenti salariali e rivendicazioni ai giornalisti dipendenti, aprendo la strada all’indipendenza più cruda, quella della disoccupazione. Tutto finanziato dall’Inpgi, altra struttura del potere solidamente divisa tra Governo, grandi editori e giornalisti. Questo mondo si sta sgretolando, sta diventando cenere. Ma dalla cenere può nascere un mondo nuovo. Ma occorre che qualcuno disegni un mondo nuovo, dimenticandosi del vecchio.
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