Media, Ue e Governi tecnici tentano di nascondere la polvere sotto il tappeto, ma la sensazione preponderante nel tessuto sociale ed economico è che il peggio non sia ancora arrivato. I dati sono allarmanti ma contingentati, rilasciati col contagocce dalle autorità preposte ad analizzare la ricchezza (o la povertà) del Paese. BankItalia ci aiuta a ricordare che le richieste di mutui mese su mese (prendendo in analisi dicembre 2010/11) sono crollate del 41%, invece facendo una stima anno su anno c’è stata una contrazione del 19%.
L’immatricolazione di auto nel 2011 ha segnato un – 10.88% rispetto all’anno precedente ed i fondi di investimento hanno nel paniere una raccolta inferiore di 40,8 miliardi di euro. Infatti la percentuale di famiglie che detengono asset non finanziari è passata dal 52.7% al 62.2%, segno che sempre più si ricorre al risparmio pregresso per far fronte alle spese quotidiane.
I percettori di reddito fisso hanno perso molto più potere d’acquisto rispetto all’inflazione recuperata in busta paga nell’ultimo decennio.
Un altro dato allarmante è segnato dall’impennata di richieste presso broker finanziari tipo "prestiti.it" per affidamenti atti alla ristrutturazione dei debiti già contratti. Per essere più precisi oltre 2 milioni di famiglie hanno chiesto un prestito per far fronte agli impegni economici già in essere, in modo tale da accorpare tutto in una unica rata ed allungare il periodo di rientro (in media 78 mesi, più di sei anni).
Siamo ancora molto legati al "mattone", ma la casa al giorno d’oggi non ha buon mercato visto che la domanda è scarsa. Inoltre se ci fosse una vendita improvvisa di un notevole numero di immobili assisteremmo ad un clamoroso crollo del loro valore, cosa pressoché improbabile visto che fortunatamente nella maggior parte dei casi parliamo di unità abitative.
Il panorama è condito da un debito pubblico esorbitante che tocca il 120% del PIL e ci si continua a focalizzare solo su questo senza rendersi conto della necessità di analizzare il debito aggregato, ovvero sommando quello delle famiglie e delle imprese che (sempre secondo BankItalia) ammonterebbe all’82% del reddito disponibile.
I dati macroeconomici che leggiamo aprono le porte ad un mondo del lavoro spento, dove la disoccupazione giovanile tocca il 30%. Una intera generazione rischia di saltare l’appuntamento con "l’emancipazione socio-economica" e, un domani, con le garanzie minime di assistenza previdenziale.
Uno dei concetti chiave del liberismo risiede proprio nella riduzione, se non eliminazione, del welfare, ma lo Stato Sociale (esistente sulla carta) di fatto è già diventato una realtà intangibile per milioni di cittadini. Non servirà un anno e mezzo di governo tecnico a risolvere la crisi, così come il problema non aveva dimora nei vent’anni di berlusconismo.
Una panacea per tutti i mali non esiste, è un sistema in cancrena da molto, molto tempo. Una finanza spregiudicata, il divorzio tra Tesoro e BankItalia, la perdita di sovranità monetaria a favore di un ente sovranazionale quale la Bce, le politiche economiche sbagliate. Elementi conditi con una moneta unica tiranna, inadeguata a soddisfare le esigenze dei singoli Stati membri, e la irrinunciabile mentalità italiana; sprezzante di regole, tasse e leggi.
L’alta finanza e i cicli economici sono troppo mutevoli ed imprevedibili per sapere con esattezza come si evolverà la situazione, ma se si dovesse continuare a perseverare in questa direzione le banche avranno e pretenderanno sempre maggiori garanzie da Stati e privati, e questi ultimi saranno sempre più schiavi e meno liberi di esprimere se stessi e la loro libertà.
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