Se non riesci a trovare lavoro tra le banche d’investimento di Wall Street allora puoi sempre farti assumere dalle agenzie di rating e accontentarti di poche decine di migliaia di dollari l’anno. La battuta circola da anni tra i broker della grande mela ma raggiunse l’apice tra il 2002 e il 2007, quando i big di Wall Street scoprirono la miniera d’oro delle obbligazioni sui mutui e impacchettavano prodotti finanziari che puntualmente incassavano la tripla A, il massimo dell’affidabilita’ finanziaria, dalle tre grandi agenzie di rating americane. La crisi dei mutui subprime che ha innescato il crac della finanza globale ha minato alle fondamenta la crebilita’ di S&P, Moody’s e Fitch. Le agenzie di rating avevano un ruolo fondamentale, con i loro giudizi stabilivano i prezzi di strumenti finanziari che non erano negoziati nei mercati regolementati.
Gli investitori da tempo hanno smesso di seguire i giudizi delle agenzie di rating anche se le notizie dei declassamenti continuano a conquistare le prime pagine dei giornali. Qualche anno fa il declassamento di 9 paesi dell’area euro, tra cui la perdita della tripla A della Francia avrebbe provocato un terremoto sui mercati. All’indomani della scure di S&P sui rating dei paesi dell’Eurozona, la reazione dei mercati e’ stata all’insegna dell’indifferenza. La prova sovrana della perdita di peso delle agenzie di rating e’ stata l’asta di titoli di Stato della Francia che ha piazzato 8,5 miliardi di euro con una domanda sostenuta e uno spread in lieve calo rispetto alla Germania, con un trend analogo per i differenziali di Italia e pagna.
D’altra parte gli Stati Uniti hanno visto scendere ai minimi storici il costo sul debito dopo aver perduto la tripla A di Standard and Poor’s l’estate scorsa. Il Giappone con un debito del 200% del pil continua ad attrarre capitali pagando solo l’1%. Tuttavia dall’Europa torna a sollevarsi una vasta insofferenza verso le agenzie di rating. Se per il consigliere del presidente francece, Alan Minc, ‘abbiamo a che fare con persone dai gravi comportamenti perversi’, non meno dure sono i giudizi che arrivano dal vecchio continente.
Il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha rilanciato la proposta che ‘l’Europa deve creare un’agenzia di rating indipendente per rimpere il monopolio americano’. Per il commissario europeo agli affari monetari, Olli Rehn, ‘le agenzie di rating non sono istituti imparziali’ e svolgno un ruolo che ‘in linea con il capitalismo americano’. Critiche al declassamento di Standard and Poor’s arrivano anche dal commissario europeo al mercato interno Michel Barnier. ‘Non sarei sicuro che la valutazione di S&P abbia considerato l’impegno e gli sforzi che stanno compiendo i governi europei. E poi mi sarebbe piaciuto che tali giudizi fossero arrivati 5-6 anni fa invece di adesso’.
In effetti dopo il crac del 2008, le agenzie di rating (che ancora due giorni prima del fallimento di Lehman Brothers avevano la doppia A sulla banca guidata da Dick Fuld) hanno indossato gli abiti del catastrofismo e degli oracoli inflessibili. In buona compagia del Fmi che da 4 anni sforna previsioni funeste sull’economia ma per anni nel suo rapporto sulla stabilita’ finanziaria ha puntualmente ognorato la pericolosita’ e i rischi dell’innovazione finanziaria senza regole rappresentata dai vari Cda, Abs, Cdo e altri ameni acronimi. Veicoli di investimento che in tempi non sospetti l’anziano guru di Wall Street, Warren Buffet, ha definito ‘strumenti di distruzione di massa’.
Alcuni ipotizzano un complotto internazionale contro l’euro ma da tempo anche autorevoli economisti americani giudicano quasi spazzatura le opinioni delle agenzie di rating. Tra questi il premio nobel Paul Krugman e la cassandra Nouriel Roubini. Forse piu’ che complotti e’ il profumo dei dollari a dettare l’operato delle agenzie di rating. Nonostante la crisi il giro d’affari di Moody’s tra il 2005 e il 2010 e’ salito da 1,3 a 2,2 miliardi di dollari.
S&P in 6 anni ha visto lievitare il fatturato da 2 a quasi 3 miliardi di dollari mentre Fitch mostra un robusto trend di crescita negli ultimi tempi. Nei primi 9 mesi del 2011 ha realizzato un giro d’affari di oltre 500 milioni di dollari mentre in tutto il 2010 si e’ fermata a 480 milioni.
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