L’Italia dei rincari. Aumenta tutto, finirà che dovremo pagare la tassa anche sull’aria che respiriamo. Stavolta a soffrire dei rincari sono i senatori della Repubblica, abituati negli anni a pranzare praticamente gratis al ristorante di Palazzo Madama. La pacchia è finita anche per loro. Se vogliono mangiare bene, che paghino. È sempre poco rispetto ai prezzi vertiginosi che espongono i ristoranti di un certo tono a Roma. La vita presenta ormai costi insostenibili. E a volersi svenare proprio non si può più. Il sangue è finito, sono dissanguate le finanze dell’italiano medio.
A Palazzo Madama è finita l’era del quasi gratis. Morta e sepolta, uccisa dalla manovra economica e dai recenti rincari. Il prezzo ora sarebbe quello giusto, ma il ristorante del Senato si svuota. I camerieri perdono il posto. Licenziati in tronco, minacciano causa. Gli aumenti hanno provocato cambiamenti anche nella dieta, dai filetti si è passati al riso all’inglese. Adeguamento dei prezzi ha causato il crollo degli incassi. Un disastro, tout court. Prima dei rincari, il prezzo di una bistecca di manzo era bloccato a 2,6 euro, fino ovviamente all’introduzione delle nuove tariffe. Il ristorante era sempre pieno, talvolta fino all’inverosimile, e i commensali apparivano satolli, soddisfatti, felici pure, se vogliamo. Non è la tavola, con il letto, il sito da santificare al piacere?
Il prezzo medio di un pasto al ristorante del Senato oggi è 30 euro. Ma i senatori hanno trovato immediatamente l’escamotage: vanno a pranzo a Montecitorio, dove si spende meno. Fatta la legge, scoperto l’inganno. I politici restano comunque i maestri del dribbling. Anche a tavola, soprattutto alla cassa, quando c’è da pagare. Le fasce di spesa sono tre. Il costo per le pietanze standard a carico dei parlamentari è del 50% rispetto a quello reale; del 75% per il cibo di seconda fascia e del 100% per le pietanze pregiate. La crisi al ristorante del Senato è oggi sinonimo di disoccupazione: nove camerieri licenziati negli ultimi giorni. Le lettere sono già partite e l’assemblea interna convocata a horas è risultata infuocata.
Gli aumenti sono stati decisi dai questori. Una decisione conseguente alla polemiche scatenate dopo la pubblicazione del menù di Palazzo Madama. Risotto con rombo e fiori di zucca, 3 euro e 34 centesimi. Carpaccio di filetto con salsa al limone, 2,76. Prosciutto e melone, 2 euro e 33. Bistecca di manzo, 2,68. Costi leggerissimi per i senatori e i loro ospiti; pesantissimi per i contribuenti, sui quali grava l’87% del prezzo di ogni singola pietanza. Prezzi d’affezione, piatti praticamente regalati. Proposte decisamente allettanti a pochi euro. Normale che il filetto di bue, a 5 euro e 53 centesimi, fosse quasi sempre esaurito.
Per non parlare delle lamelle di spigola con radicchio e mandorle: sparite in quattro e quattr’otto. Ai tavoli non c’era un solo posto libero, i camerieri sembravano impegnati in un’autentica maratona, avanti e indietro senza sosta. Il sottofondo il concerto era rappresentato dalla musica delle posate e dal tintinnio sulle stoviglie de luxe. Il cambiamento è avvenuto all’improvviso. Prima immagine la diserzione: tavoli vuoti e camerieri inoperosi. È andata così’: i senatori che si affacciano sull’uscio del ristorante, uno sguardo al menù, gli occhi sgranati davanti ai prezzi aumentati e tanti saluti, si va a mangiare fuori, in trattoria, oppure al ristorante del Parlamento. Non si è trattato assolutamente di un improvviso calo della qualità del cibo: la crisi del ristorante di Palazzo Madama è imputabile, in esclusiva, al poderoso rincaro dei prezzi. Un salto in alto, un’impennata dal 13,3 al 50% per le pietanze standard. La ditta appaltatrice, Gemeazcusin, con le mani nei capelli: non sa più a quale santo votarsi. Proverà, tenterà, qualcosa farà: imminente l’assunzione di sette nuovi dirigenti, a fronte delle lettere di licenziamento già partite. I commensali, ormai ex, si affidano ad una sorta di contestazione silenziosa. Scrollate di spalle e occhiate schifate in presenza dei nuovi prezzi ad annunciare un’abitudine che monta. Una regola a tavola, con la voglia ferma di non adeguarsi agli aumenti. Riso all’inglese, pasta rigorosamente in bianco, insalatina verde. Anche davanti agli interrogativi che angustiano i politici e i loro portaborse: si arriverà al taglio delle indennità? Verrà ridotta la diaria? Sparirà dalla busta paga il contributo per il portaborse? I vitalizi passeranno al sistema contributivi? Il tempo dirà e saranno risposte dure. Conti alla mano, i ricavi del ristorante del Senato della Repubblica hanno avuto un crollo del 70%. Una botta terribile. La società appaltatrice manifesta propositi di abbandono, destinati però a rientrare. E mentre all’interno del Senato l’economia a tavola è entrata in forte sofferenza, i locali intorno a Palazzo Madama hanno realizzato affari d’oro. Un formidabile aumento del giro d’affari. I senatori della Repubblica hanno scelto dove andare a mangiare. E pagare il giusto, quello che paghiamo tutti noi quando andiamo in trattoria.
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