Certo non è un fenomeno nuovo: è antico, universale. Avete presente lo slogan “Piove, governo ladro”? Si protesta a prescindere, niente ci sta bene, non si entra nel merito dei problemi: si dice basta, non se ne può più, si premia il partito che sostiene, alla Bartali, che “gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”, oppure neanche si vota, per esprimere un totale dissenso.
Il desiderio di cambiamento è tutt’altra cosa. Intanto, si va a votare: per dare il voto a coloro che – si presume – sapranno cambiare le idee e le azioni di chi ha governato e amministrato fino ad oggi. Non c’è un bersaglio unico, il desiderio di cambiare e migliorare le cose punisce chi – qualsiasi traguardo abbia raggiunto – non è apprezzato per l’incapacità di migliorare e cambiare.
Così succede che la Raggi trionfa a Roma, corrotta e devastata: è considerata la rappresentante, l’unica credibile, di un movimento in grado di avere l’energia per girare pagina. Ugualmente la Appendino si impone a Torino, in una ben diversa cornice: Fassino ha fatto bene, il centrosinistra governa da 23 anni, ma ora bisogna cambiare – dicono gli elettori in modo eloquente – perché non è stato fatto abbastanza. E così via.
Parisi sfiora un clamoroso successo a Milano, anche lì molti elettori non vogliono dare via libera al successore di Pisapia, che pure è stato un sindaco apprezzabile. E ancora: in alcune piazze tradizionalmente fedeli (Varese!), i sindaci della Lega vengono abbattuti, ma altrove vengono eletti, a scapito del centrosinistra, e viceversa. Addirittura a Benevento viene recuperato come sindaco Mastella, che fu ministro e potentissimo nella Prima Repubblica (“si stava meglio quando si stava peggio?”).
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