“Qualche anno fa, a New York, portavo mia figlia da un otorinolaringoiatra piuttosto conosciuto. Alla terza infezione da strepto di fila fu perentorio: bisognava togliere tonsille e adenoidi. Si metta d’accordo con la mia segretaria, arrivederci e grazie”. Lo scrive Cristina Sarto, collaboratrice di diversi organi d’informazione, sul proprio profilo Facebook.
“Dissi di sì con scarsa convinzione – prosegue – e pochi giorni dopo mi consultai con mia cugina, neonatologa al San Gerardo di Monza, che mi suggerì di lasciare perdere. Chiamai per cancellare l’intervento. La segretaria mi liquidò con un ok, have a good day. Il medico non chiamò mai, né fece chiamare la sua assistente, per conoscere i motivi del mio contrordine. Per la serie: chissenefrega, avanti il prossimo.
Fu la conferma che in quel sistema sanitario mia figlia (come tutti noi che vivevamo lì) era solo un numero, o meglio, un conto corrente da spremere tramite le costosissime assicurazioni private. Più interventi, ma anche più esami o più controlli, uguale più soldi nelle tasche di medici e compagnie assicurative.
Premesso che in America ho trovato anche medici bravissimi e perbene, con quel sistema tu cittadino A) non sai mai se ciò che ti è stato prescritto è davvero per il tuo bene; B) alla gestione del problema di salute devi aggiungere quella finanziaria: quanto coprirà l’assicurazione?
E perciò capisco bene il timore di chi negli States in questi giorni si chiede: e se il Corona virus arriva da noi, chi paga?
Oggi sono felicissima di vivere in un Paese con un sistema sanitario pubblico, che fa tamponi a tappeto senza chiedere un euro, dove se finisci in terapia intensiva per una polmonite da Covid-19 e la sfanghi poi non rischi l’infarto per il conto dell’ospedale“.
La conclusione di Cristina? “Pur con le sue contraddizioni, la sanità italiana ti fa sentire al sicuro, tutelata, e non è roba da poco. E pure il fatto che io in 12 anni all’estero non abbia perso la tessera sanitaria non è roba da poco. Segno del destino”.