Le persone contagiate dal coronavirus in Italia oggi sono alcune decine di migliaia, ma si pensa che possano crescere fino ad essere centinaia di migliaia o, come purtroppo è da temere, addirittura gran parte della popolazione.
Se, come vari commentatori prevedono, l’epidemia per nostra disgrazia dovesse durare fino al prossimo anno, sarà impossibile tenere tutti fermi in casa tanto a lungo. E in ogni caso saranno le disastrose conseguenze che deriveranno dalla paralisi dell’economia, quelle che determineranno l’insostenibilità e quindi la fine della quarantena generale.
Il blocco del Paese pertanto non servirà, né potrà durare, fino a quando ci sarà una forte diminuzione dei contagi e dei casi gravi, ma piuttosto a far sì che ci sia almeno un loro rallentamento, per avere il tempo di allestire le migliaia di posti di ospedalizzazione in terapia intensiva, che saranno necessari. E questa dovrebbe essere la preoccupazione fondamentale e più urgente.
Pertanto, a mio parere, chi gestisce la crisi non dovrebbe annunciare (come accaduto recentemente) un poco credibile rallentamento dei contagi, già smentito dalle comunicazioni successive, ma piuttosto dedicarsi a reperire i materiali (assurdo che manchino ancora le mascherine) e a riorganizzare le strutture e il personale ospedaliero.
Chi scrive non è un esperto specialistico e quindi spera vivamente di sbagliarsi. Ben venga un’immediata curva discendente nelle statistiche dell’epidemia. Ma non dobbiamo averne troppa aspettativa, anche per evitare demoralizzazioni se nelle prossime settimane e mesi le cose dovessero andare diversamente.
Quel che occorre soprattutto fare, dal momento che in Italia ci si affida alla sanità pubblica, è di porre rimedio il più urgentemente possibile a decenni di imperdonabili mancati investimenti nelle strutture ospedaliere e allo sciagurato blocco delle assunzioni del personale medico, di cui coloro che ci governano sono obbligati a rendersi conto.