E’ la resa dei conti, il momento della responsabilità politica dinanzi ad una pandemia che ha bisogno di “gestione politica”, non di lavarsi le mani alla Ponzio pilato, “così fanno gli altri” “così dicono i virologi”. E’ il momento delle scelte e della responsabilità, perché è una guerra e chi comanda deve farlo davvero. I virologi vanno ascoltati, ma poi è la politica a fare le scelte.
Gli Stati Uniti sono arrivati all’apice: hanno il maggior numero di contagi al mondo, anche se il numero di morti è relativamente basso. E’ inutile pensare a cosa si sarebbe potuto fare prima. Ci penseremo dopo a dare le colpe. Il problema è ora. E’ domani. E’ dopodomani.
Si è scatenata una crisi economica abissale, che ha colpito i settori più deboli della società americana: basti vedere il record di richieste di sussidi di disoccupazione, un’impennata catastrofica, un grafico pauroso. L’ora è scoccata.
Il governatore Cuomo appare sempre più intristito nelle conferenze stampa, anche se la gente si fida ciecamente di lui. Ha cambiato opinione sulla (quasi) quarantena di New York. Lo ha detto oggi, lasciando molti di stucco: non sa se la quarantena sia stata la scelta giusta, tenendo conto dei risultati e delle controindicazioni. Perché – cito testualmente Cuomo – rinchiudendo in una casa giovani e vecchi, forse il virus si è moltiplicato. Insomma, l’abbiamo aiutato invece di fermarlo.
Ha perso le certezze il solido Cuomo, che è sempre stato pragmatico, mentre l’opinione pubblica inizia a diffidare dei virologi: troppe cose dette e contraddette, e molto confuse.
Il mitico dottor Fauci (massimo esperto americano di pandemie) sembra meno granitico di un tempo, e mette tutti in guardia: questa pandemia durerà, non ce ne libereremo presto.
Allora? O si muore di virus o si muore di fame? Dice il popolo. Almeno evitiamo la fame.
Ecco perché ha un senso la dottrina Trump, che ha detto: “Se ascoltiamo i medici, dovremmo chiudere tutto per sempre”. E il popolo lo ha applaudito perché è stanco. Questa è la verità. La gente pensa al virus, ma pensa soprattutto ai soldi che mancano, all’affitto da pagare, e al futuro dei figli. Il vicegovernatore del Texas l’ha ribadito: “Preferisco rischiare di morire, che distruggere il paese e consegnare le macerie ai miei figli”. E il Texas è con lui.
Facciamocene una ragione. E’ un movimento silenzioso che più passa il tempo più crescerà. Anche Trump ha il record di consensi. Il punto è proprio questo: il virus resterà con noi e ci dovremo convivere finché non verrà trovato un vaccino o delle cure convincenti.
Il sindaco di New York De Blasio ha detto che il 50% dei newyorkesi si ammalerà. E allora – ragiona il politico – se le cose stanno così, per quanto possiamo protrarre questa quarantena? Che ha già distrutto l’economia, e sfiduciato la gente? La risposta è semplice: più passa il tempo meno la gente è disposta ad ascoltarti. Allora che fai? Mandi l’esercito in strada? Impensabile.
Domande su domande, che non trovano risposta, ma implicano che la politica faccia scelte rischiando di sbagliare. E’ la guerra, funziona così.
Quindi torniamo al punto di partenza. Quanto tempo si può continuare così? Tre settimane. Questa è la tempistica entro cui poi bisognerà aprire il paese – ha detto Trump – e tornare a farlo girare, perché poi per recuperare la fiducia delle persone ci vorranno comunque mesi. Cuomo inizia a pensare la stessa cosa.
E il coronavirus? Se non si piega la curva dei contagi, lo dovremo affrontare nell’unica maniera che conosciamo, non segregando le persone in casa, ma con più posti letto, più ventilatori, più personale sanitario e saremo pronti a curare ogni paziente al massimo, cosa che ora non si fa. Questo pensa il politico.