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Ad esempio l’articolo 13:
“La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”.
Rafforzato dall’Articolo 25:
“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
Oggi invece in Italia abbiamo vissuto delle fortissime limitazioni della nostra libertà personale per via monocratica, senza che il Parlamento ne discutesse, ne prendesse atto, o ratificasse tali decisioni. Abbiamo perso la libertà di movimento e la libertà di esercizio d’impresa, con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Che per definizione, ci appoggiamo a Wikipedia: “È un atto amministrativo (…) Attualmente, il potere regolamentare attribuito al Governo è disciplinato dall’art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400. Essa costituisce la fonte attributiva di detto potere che, sulla base del sistema delle fonti disciplinato dalla Costituzione, non può essere esercitato in difetto di una specifica attribuzione di rango primario (ossia di legge ordinaria). I regolamenti emanati nella veste di decreti ministeriali non possono quindi derogare, quanto al contenuto, né alla Costituzione, né alle leggi ordinarie sovraordinate. Per identico motivo, le norme regolamentari non possono avere ad oggetto incriminazioni penali, stante la riserva assoluta di legge che vige in detta materia (art. 25 della Costituzione)”.
Quindi noi stiamo rinunciando arbitrariamente alle nostre prerogative costituzionali e stiamo venendo meno alle nostre facoltà di liberi cittadini che vivono in Democrazia, più per buon senso, per coscienza, per paura, che non per regolarità dei processi decisionali.
Perfino sulle autocertificazioni che in queste settimane stiamo compilando, il dubbio di legittimità e costituzionalità imperversa. Molti giuristi hanno storto il naso, la Procura di Genova ha mosso perplessità: “Le persone non sembra possano essere denunciate ex art. 483”, oltre a ravvedere “l’impossibilità di qualificare come ‘attestazione’ penalmente valutabile la dichiarazione stessa che non può ritenersi finalizzata a provare la verità dei fatti esposti”. In merito alle dichiarazioni mendaci: “Il delitto previsto dall’art. 495 cp viene integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi a oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona”.
Inoltre Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale alla Statale di Milano, ricorda come: “Le restrizioni alla libertà di circolazione (art. 16 della Costituzione) e di iniziativa economica (art. 41) «hanno un problema di base legale». Le limitazioni sono possibili solo «con legge o atto avente forza di legge». Come il decreto legge n. 6/2020 con le ‘zone rosse’ nel Nord Italia. Ma poi le misure nazionali sono state previste da un Dpcm, atto amministrativo. «La riserva di legge è sostanzialmente elusa»”.
Il rischio è che tutto, comprese le denunce, siano carta straccia. Nel frattempo comunque prosegue quest’insolita prassi per cui prima c’è la conferenza stampa del Presidente del Consiglio e poi a seguire il Decreto.