Speriamo che passi il “colpo di sole” ai vertici Fao riuniti a Roma, con suite in alberghi di lusso e cene e pranzi di lavoro a dir poco sontuosi, affinchè si astengano dal fare moniti ipocriti al mondo che lascia morire di fame e colera 16 milioni di Somali o si accontentino di accoglienze più a buon mercato, per dirottare quei soldi verso chi, nelle stesse ore, muore di sete e diarrea.
In Somalia la siccità si somma a una crisi politica e militare che non trova soluzione ormai da vent’anni, con migliaia di persone che stanno lasciando le loro case per rifugiarsi nei paesi vicini, anch’essi allo stremo a causa della siccità. Nel campo di Dadaab, in Kenya, in pochi giorni si è passati da 300 mila a 400 mila sfollati (moltiplicate per cento quella che a noi pare una emergenza: Lampedusa): un incremento che mette a dura prova le già limitate risorse delle agenzie umanitarie. E, naturalmente, la Fao continua a riunirsi e parlare. In più, una micidiale combinazione di inedia e morbillo, sta falcidiando, sempre nei campi profughi di Etiopia, decine di bambini ogni giorno, tutti del Corno d’Africa e tutti che, invece di aiuti, ricevono le parole de l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che parla di "livelli di mortalità allarmanti" e lancia una campagna di vaccini.
Aiuti concreti in termini di denaro, farmaci e derrate alimentari vengono dalla certo non floridissima Turchia, ma non da quei paesi che richiamano gli altri e ciascuno di noi ad un maggiore impegno; un po’ come qui a L’Aquila dove il povero Kyrgyzstan e non la ricca America ha dato concretamente aiuti.
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