Ho letto con interesse l’intervento del console generale a Buenos Aires Marco Petacco, apparso nei giorni scorsi sulla stampa dell’emigrazione, e ho scorso parimenti con attenzione l’intervento compiuto dal suddetto diplomatico davanti alla Commissione esteri del Senato, ove egli ha fornito un quadro abbastanza circostanziato dei servizi resi ai cittadini italo-argentini, nell’ambito anche del nuovo approccio di tipo informatico abbracciato con determinazione dal ministero degli esteri.
Visto da una angolazione europea, e più precisamente da Zurigo, ove ha sede, come noto, il terzo consolato più popoloso della rete, dopo Buenos Aires e Londra, colpisce il peso che riveste in Sud America il tema della cittadinanza e il gran numero perciò di richieste in tal senso. Si tratta, certo, di una mole di lavoro cospicua, anche se non è chiaro quanto oneroso sia esattamente il peso che ricade sull’ufficio consolare, ove infatti si consideri che la trattazione delle domande di cittadinanza è di competenza, salvo errore, del Ministero dell’Interno, mentre ai consolati spetta prevalentemente una funzione di natura informativa e di inoltro della documentazione.
Il console generale ascrive per altro a proprio merito il rilascio di cinque mila passaporti a trimestre, ma non dice però quali sono i tempi di attesa, né ci informa sul numero di impiegati preposti al servizio.
Questi dati aiuterebbero a meglio capire quale sia la produttività media del lavoro consolare, in una sede strategica qual è appunto Buenos Aires, ma su di essi, ci sembra, si preferisce sorvolare. Nella sede argentina, si registrerebbe per altro una grave carenza di risorse, sia tecniche che umane, ma mancano però indicazioni sul loro esatto ammontare. Per altro, quello della povertà delle dotazioni è un vecchio ritornello caro ai diplomatici, i quali pensano che la qualità e la quantità del lavoro consolare sia una variabile dipendente dall’incremento delle dotazioni tecniche ed organiche, mentre è vero probabilmente il contrario.
Ci soccorre in proposito una vecchia massima dell’economista inglese Cyril Northcote Parkinson, secondo cui è interesse dei dirigenti assumere nuovi impiegati perché ciò aumenta il loro prestigio. Ma analogo interesse, secondo l’economista inglese, hanno anche gli impiegati, perché quanti più lavoratori vi sono in un ufficio tanto meno lavoro viene svolto da ciascuno di essi. Non ricordiamo ciò per fare dell’ironia.
Nell’intervento del console generale, mancano per altro notizie su aspetti molto sentiti dai cittadini. Ad esempio, si può accedere al consolato liberamente oppure gli ingressi sono sbarrati e sottoposti ai sistemi di prenotazione? Quando ci si può prenotare? A partire dalla mezzanotte? E, infine, quali sono i tempi di attesa? Due mesi, quattro mesi, un anno, tre anni?
Aggiungo che i diplomatici amano prospettare considerazioni di portata generale, ma evitano le analisi di natura microeconomica. Come occupano, per esempio, gli impiegati le 7 ore giornaliere di lavoro? Quante ore passano allo sportello? A sua volta, il console generale offre allo sportello la propria consulenza ai cittadini? Esiste un servizio di assistenza e consulenza telefonica? Sono aspetti apparentemente minuti, ma che determinano però l’andamento produttivo del servizio e la soddisfazione degli utenti.
Sulla scorta anche della modesta esperienza maturata a Zurigo, ove i cittadini non mancano di protestare per i ritardi del servizio, sarebbe auspicabile conoscere l’opinione degli utenti del consolato Generale di Buenos Aires. Cosa pensano, per esempio, dei tempi di attesa e delle difficoltà altresì di parlare con interlocutori consolari in carne e ossa e non soltanto con dei robot telematici?
Alla Commissione Affari Esteri del Senato, vorremmo infine suggerire di ascoltare, accanto al ministero degli esteri, anche la voce dei cittadini e degli utenti.
*Consigliere del Comites di Zurigo