Renzi (e il coretto a cappella che lo accompagna sulla Rai e sui giornaloni) da giorni cercava di derubricare e ridimensionare l’appuntamento amministrativo. Tattica da football da oratorio: palla lunga, la vera sfida è il referendum d’autunno, eccetera. E il silenzio imposto stanotte ai candidati del Pd (tutti più o meno ammaccati) fa pensare che oggi sarà il leader stesso a dare la linea, tentando ancora di spostare l’attenzione sull’appuntamento costituzionale.
Renzi non ha compreso che il vento nel Paese è cambiato. A forza di personalizzare, ha coalizzato tutti quelli che lo detestano. E soprattutto (qui lo ripetiamo da settimane: “it’s the economy, stupid!”) non c’è alcuna vera ripresa, il ceto medio è (o si sente: il che fa lo stesso) ceto povero, e l’ottimismo forzato di Renzi stride con il sentimento di una larga parte del Paese.
Morale. Deve sbrigarsi a cambiare slides e toni: e (forse) non gli basterà ad evitare che l’Italia cambi Premier, tra qualche mese.
I veri vincitori (nonostante le prove non brillantissime di Milano e Napoli) sono i Cinquestelle, inutile girarci intorno. Il M5S è stato addirittura sottostimato dai sondaggi. Una spiegazione possibile del fenomeno porta ulteriore acqua al loro mulino. Una parte dei cittadini stenta a dichiararlo ai sondaggisti, ma è mosso da una rabbia contro la politica che, oggi, trova un solo sbocco: il Movimento. E quindi i numeri delle urne sono ancora migliori dei già lusinghieri sondaggi dei mesi passati. Attenzione, però: se la Raggi sarà sindaco di Roma, dal giorno dopo il M5s avrà meno alibi, e – in un tempo non lungo – potrà perdere la verginità politica. In tempi di turbopolitica, di umori e malumori come fattore principale di scelta, può bastare poco a trasformare una speranza in delusione.
In questo scenario, il centrodestra farà bene a guardare in faccia la realtà. Da ieri sera, e per una notte intera, stiamo sentendo cose che sono di per sé “esatte”, ma che, nell’insieme, non sono “vere”, perché occultano il problema di fondo. Sentiamo dire: “uniti si vince, divisi si perde”. Sentiamo dire ancora: “Bastava essere uniti a Roma per andare al ballottaggio”. E sentiamo dire infine: “L’esempio di Milano mostra che il centrodestra può essere competitivo”.
Ora, a parte il fatto che, a fare queste diagnosi, sono gli stessi che hanno impedito le primarie a Roma (cioè – piaccia o no – l’unico meccanismo per unire davvero), resta il punto di fondo: non basta unire i “cocci”, non basta mettere insieme quello che c’è in una logica conservativa e di status quo. Per parlare agli astenuti (ricordo che a Roma e Torino è rimasto a casa il 43% degli elettori, a Milano e Napoli il 44%), serve una ricostruzione profonda, una visione di lungo periodo, un progetto di governo distinguibile. Tutte cose che oggi il centrodestra non ha. E dubito sia appassionante un’estate giocata sul derby tra Berlusconi e Salvini su chi abbia la colpa di questa o di quella scelta…
Occorre un’operazione-verità. Berlusconi ha centrato un suo obiettivo: mostrare che ancora c’è, e che ha delle fiches al tavolo del centrodestra (nonostante la figuraccia rimediata a Roma, con Marchini zavorrato, e la lista di Forza Italia al 4%). Tutto ciò può bastargli a curare i suoi interessi, ma rischia di essere ancora un fattore di “blocco” del centrodestra. Salvini, dal canto suo, mostra ovunque una Lega in crescita: però il 15% rischia, per lui, di non essere l’aliquota della flat tax che vorrebbe, ma il tetto (insuperabile) dei voti che può prendere… Ecco perché occorre rimettere tutto in discussione.
E, per venire a ciò che sta a cuore a me (e penso ad altri come me), manca un’offerta politica liberale. Tanti degli elettori che sono stati a casa hanno rifiutato – anche ieri – tutto ciò che era sul tavolo. E sul tavolo non c’era una credibile proposta liberale, menotasse-menospesa-menodebito, capace di sfidare Renzi non perché abbia fatto “troppo”, ma al contrario perché ha fatto “troppo poco”.
Chi (penso al mio amico Raffaele Fitto, al movimento Conservatori e Riformisti, a una galassia di persone e di storie dentro e fuori il perimetro del palazzo) ha iniziato da mesi una semina umile, difficile, silenziosa, evitando (giustamente) di bruciarsi troppo presto in prove elettorali, deve ora cambiare passo, e provare a strutturare nel Paese una nuova offerta politica. Non sarà facile né indolore. Ma sarebbe più difficile e più doloroso restare fermi, e continuare a guardare le cose così come sono…
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