UNA PICCOLA PREMESSA | Che senso ha parlare oggi d’italianità. Che senso ha parlarne in una società globalizzata, che pare invece voler frantumare, sbriciolare i valori, le differenze, le radici, per poi restituirli omogeneizzati, appiattiti, senza profondità.
Che senso ha parlare d’italianità in una comunità come la nostra, quella messicana, dove le distanze geografiche e il disamore generalizzato per la nostra terra sembrano spesso farla da padrone; dove incontri sovente chi pensa solo ai fatti suoi e a come fregarti o, peggio, capace di parlare peste e corna del nostro Paese, “che non gli mai dato niente”, confondendo così lo Stato col Fatebenefratelli?
Che senso ha parlare d’italianità per chi, come gli italo-discendenti, l’Italia l’hanno vista, nella maggior parte dei casi, solo su youtube o negli occhi e nei racconti dei loro nonni?
Per fortuna la risposta ce la serve su un piatto d’argento un pensionato bellunese, uno dei membri più silenziosi della briosa comitiva di bellunesi, partiti dal Veneto apposta per festeggiare i 142 anni della comunità a Veracruz: “Sai, dice rivolgendosi a me e Giovanni, questo viaggio che facciamo per “portare l’Italia in Messico”, in fondo serve a noi, non a loro. Perché noi, che oggi viviamo nello stivale, dell’Italia ce ne siamo scordati, mica come qua! Qua l’Italia l’abbiamo ritrovata, per cui siamo noi a riportarcela a casa.
Certo, l’Italianità è un concetto plurale, in continuo mutamento ed evoluzione, ma queste famiglie della Manuel Gonzalez, di Huatusco, Cordoba, Orizaba, della villa Luisa de Papantla, di Chipilo, Veracruz, riescono a mantenere, ancora oggi, acceso questo fuoco, con una passione, integrità, ingenuità, spontaneità e purezza da cui vi è solamente, come diceva il nostro amico nordico, da imparare. E la cronaca di questi pochi giorni con loro, che segue, ne è la conferma.
LE CELEBRAZIONI
La nostra esperienza comincia a Veracruz. Neanche il tempo di scendere dall’aereo e ci troviamo seduti al tavolo di un enorme salone, di fronte al porto, insieme a tante personalità: ci sono i rappresentanti delle comunità italiane di Cordoba, Orizaba, Huatusco, Veracruz, insieme a vari consoli (quello tedesco ha origini italiane), autorità locali, il sindaco, l’ammiraglio e, naturalmente, il gruppo di bellunesi al completo, guidato da Oscar Dalla Bona, presidente dei bellunesi nel mondo ed amico del Messico e dei tantissimi bellunesi che vivono qui. Il “deus ex machina” di tutto questo è il console onorario di Veracruz, Tabasco e Campeche, Emilio Zilli.
Don Emilio, com’è conosciuto, qui a Veracruz, da tutti (pronome da interpretare nella sua accezione letterale: dubito molto che esista, nell’intera comunità di italodiscendenti, persona che non conosca il dottor Zilli Debernardi). Il console rappresenta, per tutti, l’archetipo dell’italodiscendente: orgoglio, conoscenza, etica, passione ed una dedizione assoluta e totale al suo ruolo ne fanno, per tutti un esempio a seguire. Imparabile, se non dal tempo che passa e dalle regole: peccato il suo mandato scada fra poco per raggiunti limiti di età.
Don Emilio è il primo ad emozionarsi quando, alzatoci dal tavolo, si attraversa la strada per depositare una corona di fiori alla statua che ricorda l’arrivo degli emigranti o quando ripercorriamo, in un tour del tutto eccezionale, accompagnati dall’ammiraglio e da ufficiali/guida della marina messicana, i passi dei primi italiani arrivati, nel 1881, destinati a popolare, dopo mille peripezie, quella che poi sarebbe diventata la Manuel Gonzalez.
Il tempo di un pranzo nella sala pranzo ufficiali della marina (normalmente inaccessibile per noi civili) e ritorniamo sul molo per l’evento clou della giornata: la commemorazione dell’attracco al porto della nave Atlantico in quel 18 ottobre del 1881. All’arrivo, uno spettacolo che riempie il cuore: centinaia di italiani riuniti e festanti per ricordare l’evento. Musica, discorsi, canti (di quelli si incaricano il gruppo di bellunesi), poi i più fortunati posso salire su un battello, con un garofano in una mano ed un palloncino nell’altra. Alle 17:45, orario di attracco ufficiale dell’Atlantico, risuonano le sirene, i palloncini (bianco, rossi e verdi naturalmente) volano alti sul cielo plumbeo della città portuale mentre i fiori si adagiano sulle onde del mare, quello stesso mare che aveva salutato, 142 anni prima, l’arrivo dei nostri connazionali.
Si va a letto presto con gli occhi ed il cuore pieni di emozioni, che non sarebbero tuttavia terminate li. Ci aspetta, il giorno dopo, una giornata pienissima nell’interno dello stato. Sveglia alle sei per essere a Huatusco prima delle nove, quando dovrebbe cominciare il primo di una serie di eventi che, pensiamo, chissà perché, più “intimi”. Arriviamo alle otto e trenta ma già alcune strade sono chiuse. Riusciamo a parcheggiare e camminiamo per raggiungere il punto indicato per assistere al primo evento della giornata.
Qui accade qualcosa di surreale: come novelli Troisi e Benigni in quel capolavoro che ‘e “Non ci resta che piangere”, ci vediamo catapultati in un‘altra epoca: siamo catapultati al centro di una allestimento scenico che coinvolge strade intere, decine di “figuranti”, donne, uomini, bambini, in quella che sembra una produzione stile Broadway, una specie de “I Miserabili” nostrani, dove Cosette e Jean Valjean vestono i panni di nonni veneti: ‘e la riproduzione fedele dell’arrivo.dei primi italiani a Huatusco
Il gruppo di bellunesi guardano attoniti quanto succede, molti, tra cui lo stesso Dalla Bona, con le lacrime agli occhi. Percorriamo un tratto di strada mescolati ai figuranti, tra due ali di folla ugualmente commossa, ognuna con un cartello con scritto il cognome della propria famiglia: rivivono quel momento con un trasporto e una commozione difficile da spiegare.
La scena si conclude con l’apertura simbolica delle porte della città a noi italiani da parte delle autorità locali presenti, con in testa il sindaco: un “opera” di cinque minuti che resterà per sempre negli occhi e nel cuore di chi ha avuto la fortuna di averla vissuta.
Segue la funzione in piazza, con tanto di onori alle bandiere ed inni nazionali, discorsi di rito ed una lettura di tutte le famiglie arrivate in quel 18 ottobre di 142 anni prima. Gabriella Parissi, rappresentante dei Bellunesi in loco e organizzatrice, con altri, della giornata, può dirsi soddisfatta.
Nel pomeriggio tutti alla Manuel Gonzalez, a venti minuti da Huatusco, dove ci aspetta il sindaco di Zentla, comune di cui fa parte la colonia, nella piazza principale, e poi all’immancabile messa, per poi finalmente al vicino Bocciodromo, unico nel suo genere in Messico, dove si mangia, si convive, si parla, si canta e si fa festa fino al tramonto.
CONCLUSIONI
Il giorno dopo si fa ritorno a Città del Messico, non prima di una colazione nella bellissima corte interna de “la casa del Leon” di Huatusco. Tanta la gente che s’avvicina per chiedere di aiutarli con i suoi problemi di cittadinanza. E già, sono ancora molti quelli che, per il nostro Stato, purtroppo non sono ancora italia, e per ragioni non sempre rilevanti: una legge in vigore qualche mese prima, un documento che prima valeva e dopo no, un covid che ha dilatato i tempi e fatto scadere documenti, un nonno che, probabilmente senza saperlo, ha “rinunciato” alla cittadinanza italiana obbligato dalla necessità di sfamare la sua famiglia, ecc.. Lasciamo tutti con la promessa di fare il possibile per aiutarli. Perché chi ha sangue italiano è italiano e perché sarei orgoglioso se potessero essere riconosciuti come tali anche, e soprattutto, da noi.
Antonio Mariniello, vicepresidente Comites Messico