Lo ammettiamo. Da italiani, “eredi” dei Cristoforo Colombo, degli Amerigo Vespucci, ma anche dei Giovanni da Verrazzano e dei Fiorello La Guardia, facciamo fatica a comprendere i motivi di questa strana quanto paradossale ventata di “italofobia” che da un po’ di tempo a questa parte si sta impietosamente abbattendo sugli States.
Sì, facciamo molta fatica a comprendere perché a New York, nell’area del Queens, la statua del celebre genovese che nel 1492 “scoprì” l’America, sia stata vandalizzata con graffiti recanti la scritta “Non onorare il genocidio. Abbattila”.
Perché, sempre sulla East Coast, questa volta in un parco a Yonkers, a nord della Grande Mela, città – è bene ricordarlo e rimarcarlo – guidata da un sindaco italo-americano, Bill de Blasio, si sia arrivati addirittura a decapitare un busto in bronzo raffigurante Cristoforo Colombo.
Pensate sia finita qui? Macché! Ci troviamo solo di fronte all’ultimo atto vandalico commesso contro il grande navigatore italiano. Un’altra sua statua, infatti, è stata vandalizzata in Texas e un monumento è andato distrutto a Baltimora.
A rincarare ulteriormente la dose è giunta, infine, la notizia che la stessa festa nazionale del Columbus Day (che ricade il secondo lunedì di ottobre) a Los Angeles è stata praticamente cancellata e sostituita dalla “Indigenous and Native People Day”, vale a dire la festa degli indiani d’America.
Insomma: da scopritore del Nuovo Mondo ad… antesignano dell’Isis il passo sembra essere breve e per Colombo la sentenza di condanna pare già bella e scontata: colpevole!
Colpevole di aver sterminato i nativi che si trovò davanti, quando, primo europeo in assoluto a farlo, mise piede sulle coste del continente americano (tra l’altro sull’isoletta di San Salvador, una delle odierne Bahamas, non certo nei futuri Stati Uniti). Colpevole, sì. Proprio come gli sgozzatori dello Stato Islamico. Colpevole, come i terroristi che si fanno esplodere seminando lutti e distruzione in nome di Allah.
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Colpevole e dunque da mettere al bando, come si fa con gli sterminatori e gli assassini di massa. Colpevole e condannato alla damnatio memoria.
Sì, probabilmente qualcuno arriccerà il naso di fronte a tale “accostamento” che potrà apparire anche azzardato e forse un tantino esagerato. Ma come altrimenti interpretare questa corsa all’oblio, questa smania di voler mettere una pietra tombale sopra un passato con il quale, in un modo o nell’altro, si è sempre costretti a fare i conti?
Parliamoci chiaro. Per qualcuno, con la sua scoperta, Colombo ha significato “l’oppressione per la popolazione nativa”. Per carità! Nessuno ha mai detto che il navigatore ligure sia stato un santo. Ma come la metteremmo allora con i Wounded Knee, i Sand Creek e le tante Little Big Horn di cui è costellata la storia d’America? Cancelliamo dalla toponomastica degli States (e ne radiamo al suolo statue e targhe) i nomi di presidenti, sindaci, governatori e capitribù solo perché, durante le loro leadership, questo nobile Paese si è macchiato di tanto sangue innocente?
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Colombo non è stato un martire, lo ribadiamo, ma neanche un malvagio! E se non ci fosse stato lui alla guida dei coraggiosi equipaggi di quelle tre caravelle, chi mai avrebbe spalancato le porte delle Americhe ai coloni del Nuovo Mondo? Sì, signori, ve lo diciamo papale papale: senza Colombo a fare da apri strada, senza il coraggio del nocchiero genovese, chi avrebbe fondato gli Stati Uniti d’America?
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La storia, cari amici, non si distrugge. Men che meno la memoria. Perché se noi oggi siamo quelli che siamo, lo dobbiamo a chi, dal passato, ha posto le fondamenta per il nostro presente.
Rimuovere Colombo dalla memoria storica degli Stati Uniti significa minare le fondamenta di un Paese che si è sempre autodefinito democratico e che in nome di questa “democrazia”, in nome della difesa della libertà, ha combattuto (e vinto) due guerre mondiali. Cancellare Colombo e quello spicchio forte e altamente rappresentativo di italianità che pure ha concorso a formare l’anima stessa degli States, significa distruggere se stessi. Significa rinunciare alle nostre stesse radici. E senza radici, cosa diventiamo? A voi la risposta.
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