Finalmente un’esponente del Partito Democratico ha detto in forma chiara e precisa ciò che il Pd pensa sul riconoscimento della cittadinanza italiana ai discendenti di nostri emigrati: “Giusto limitare lo ius sanguinis ai nonni”.
Non ci sono dubbi, le dichiarazioni dell’On. Francesca La Marca, due volte candidata del PD e tutte e due eletta, sono l’espressione del Partito, in linea con ciò che il Pd ha tentato di fare alla fine della precedente legislatura.
A novembre del 2017, infatti, i senatori del Pd eletti all’estero presentarono in commissione Bilancio un emendamento alla legge finanziaria che prevedeva l’aumento della tassa di cittadinanza a 400 euro e guarda caso la limitazione della trasmissione della cittadinanza fino al nonno.
A ricordarlo è l’On. La Marca in persona – sempre nell’intervista di ieri di ItaliaChiamaItalia: “Questa proposta era già stata avanzata dall’ex-senatore Micheloni nella scorsa legislatura”.
Interessante è capire anche la argomentazione di questa dottrina: secondo La Marca la cittadinanza italiana è un “privilegio”, in Sud America “è stata concessa a lunghe generazioni di pronipoti”, dunque “uno spreco di denaro” e “una banalizzazione della cittadinanza”, che è stata “regalata” in un modo che lei “ritiene ridicolo”.
E’ interessante che abbia utilizzato questo termine preciso, “privilegio”, invece di “diritto”, per riferirsi all’istituto normativo della cittadinanza.
Durante l’impero romano, il “privilegium” era una decisione giuridica che riguardava una singola persona, i “privilegia” non avevano carattere legislativo e piuttosto stabilivano delle eccezioni rispetto alla normativa vigente. Nel medioevo e in epoca assolutista il privilegio era una concessione di chi aveva il potere (l’imperatore, il re, o il papa) ai propri vassalli. Vassalli e non cittadini. Signore e non Stato di Diritto.
Un Signore concede privilegi, uno Stato di diritto riconosce diritti. Piccole differenze che permettono alla On. La Marca di dire che i privilegi possono essere “banali”, chiaramente i diritti no. Allora se banali, possono anche essere “uno spreco di denaro”. E allora il “Signore” (non più lo Stato di diritto) che ha la podestà di concedere privilegi, ha anche la podestà di toglierli.
Beh, più chiaro e meno democratico di così è impossibile: una concezione elitaria dello Stato e del rapporto tra esso e gli individui. Chi nasce all’estero è italiano, solo se se lo merita, solo se ha il privilegio che io, Stato, concedo per grazia.
Queste argomentazioni del Pd sono inaccettabili. La cittadinanza non è un privilegio, ma la cattura normativa di un fatto: la appartenenza alla comunità nazionale. E il principio che miglior cattura tale appartenenza é lo ius sanguinis. Giusto non è “limitate lo ius sanguinis ai nonni”, giusto e doveroso è rafforzare lo ius sanguinis, con elementi culturali che consentamo alla norma di aggiornarsi. Certo è che una cosa è chiara e indiscutibile: chi è figlio di italiano è italiano ovunque sia nato e ovunque viva nel mondo.
*Vicesegretario CGIE America Latina