Torna ad affrontare il tema della cittadinanza ius sanguinis, il Corriere del Veneto, che nell’edizione di martedì 24 settembre scrive: “L’accelerazione si è avuta con la crisi del 2008 e corre fino ad oggi. Il Rapporto 2023 della Fondazione Migrantes dice che non solo gli espatriati sono in crescita, ma che ormai gli italiani all’estero hanno superato il numero degli stranieri residenti in Italia. Un travaso sociale che appare paradossale. L’Italia fuori dei confini nazionali è costituita oggi da circa 6 milioni di cittadini e cittadine. Una presenza cresciuta dal 2006 del 91 per cento”.
“I minori sono aumentati del 78 per cento e gli over 65 anni del 110 per cento. I nati all’estero sono cresciuti, dal 2006, del 175 per cento e le acquisizioni di cittadinanza del 144. Anche il Veneto fa la sua parte, ed è una parte di rilievo. Perché non solo i veneti residenti all’estero hanno superato il mezzo milione (sono 526 mila, contro i 498 mila stranieri residenti nella regione), ma – calcola il Rapporto – nell’ultimo anno sono più di 9 mila i veneti che se ne sono andati all’estero, secondi per numero solo alla Lombardia.
Chi se ne va sono i giovani stranieri divenuti italiani oltre che naturalmente gli italiani stessi, soprattutto quei nati alla fine del secolo che hanno scoperto che qui l’ascensore sociale va troppo lento, se addirittura non scende giù”.
Si evidenzia anche che “nel delicato equilibrio tra ius soli e ius sanguinis, la normativa italiana è fortemente sbilanciata verso il secondo: l’approccio è frutto di un dibattito che risale ai primi anni novanta, in cui, privilegiando il principio di sangue, si intendeva mantenere un legame con gli italiani emigrati in Argentina, Brasile (in cui vive un veneto emigrato su quattro), Stati Uniti o Australia o altrove, e con i loro discendenti.
Però oggi suona perlomeno stonato continuare a considerare italiani i discendenti di chi ha lasciato l’Italia un secolo fa e stranieri i figli degli immigrati, che sono nati in Italia e hanno frequentato le nostre scuole. Con il paradosso che i primi, formalmente italiani, potrebbero non aver mai messo piede in Italia ed aver dimenticato la lingua, mentre i secondi, considerati stranieri, spesso non hanno mai visitato il Paese d’origine dei genitori e non parlano più le lingue di origine”.