In ‘Django Unchained’ c’e’ anche troppo. Frenologia, negritudine, il servo-padrone (ovvero un nero e’ piu razzista di un bianco verso la propria razza), la crudelta’ della schiavitu’, l’origine del Ku Klux Klan, sangue e torture a fiumi, riscrittura della storia e dialoghi surreali tipici di Quentin Tarantino.
Insomma le due ore e 45 minuti della durata del film non fanno affatto soffrire.
Nel film, ambientato due anni prima della Guerra Civile, tutto inizia con le immagini di un singolare carretto con un enorme molare ondeggiante sul tetto. E’ di proprieta’ del forbito e colto Dott. King Schultz (Christoph Waltz), dentista di facciata, ma in realta’ cacciatore di taglie di origine tedesca. Uno capace di uccidere con la freddezza del serpente.
Quando assolda Django (Jamie Foxx), schiavo di colore, Schultz lo fa solo per interesse. Il nero infatti puo’ aiutarlo a cacciare i fratelli Brittle. Ma poi, conosciuto il talento di killer di Django, ne fa il suo allievo e ‘amico’.
E questo fino al punto di seguirlo sulle tracce dell’amata moglie Broomhilda (Kerry Washington), venduta schiava tanti anni prima. La ricerca della donna li portera’ nel regno di Calvin Candie (Leonardo DiCaprio), proprietario della piantagione Candyland. Una sorta di spietato Caligola che ama la lotta dei mandingo e che ha come schiavo-padrone Stephen (un irriconoscibile Samuel L.Jackson). Sara’ lui a capire, nero che odia i neri piu’ di un bianco da quando si e’ elevato al rango di servitore, che i due sono li’ non per comprare un mandingo, ma per far tornare libera la compagna di Django.
Nel film, che sara’ nelle sale dal 17 gennaio in 500 copie distribuite dalla Warner Bros, tante le trovate surreali.
Intanto, Django, come gli ricorda appunto il suo mentore Schultz, e’ come un Sigfrido nero alla ricerca della sua Brunilde wagneriana. E poi, in una delle sequenze piu’ divertenti del film, sono di scena un gruppo di improvvisati affiliati del Ku Klux Klan pronti con i loro cavalli per andare a caccia dell’odiato negro. Ma i cappucci bianchi che indossano in testa, preparati dalla moglie di uno di loro, non hanno i buchi troppo corrispondenti ai loro occhi. E cosi’, dalla ferocia delle intenzioni di caccia al negro, si passa a una lunga discussione se non sia giusto prepararsi meglio a questi raid e farsi fare dei cappucci con dei buchi giusti.
C’e’ poi in Django la frenologia, ovvero la pseudoscienza della misurazione e dell’analisi dei crani umani, della quale e’ un fedele adepto DiCaprio convinto, come e’, che i neri abbiano nel cervello un’area piu’ sviluppata per quanto riguarda la sottomissione.
Frase cult del film quella che dice Django rivolto al raffinato europeo bianco che non regge, al contrario di lui, la vista di un negro fatto sbranare dai cani dal cattivo DiCaprio: ‘A queste cose sono abituato perche’ conosco meglio gli americani’.
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