Il Partito Democratico non è un partito coeso e non lo è mai stato. Forse non è nemmeno mai stato un vero partito, ma semmai un insieme di correnti e anime pronte al fratricidio, allo stillicidio ed alla polemica al vetriolo da mattina a sera. Il Pd non vince mai e quando lo fa è perché i nostri elettori ci fanno un dispetto e non si recano all’urna (vedi il 16 a 0 alle amministrative con un astensionismo al 50%). Avere una opposizione matura che dia alternativa ed alternanza è il vero segno della maturazione e della maturità di una democrazia. E’ per questo che gli Stati Uniti hanno solo due partiti e noi tre-quattro schieramenti ed una quarantina di formazioni partitiche. Matteo Renzi lo sa bene e guarda di buon occhio quello schema istituzionale, tant’è che in rigor di logica, invece di creare un altro inutile fuoco di paglia elettorale, ha mal digerito la cocente sconfitta delle “primarie farsa” e s’è messo pancia a terra a lavorare nei condotti del movimento.
Però, risvolto della medaglia, lui sa anche bene che candidarsi nel Pd e col Pd fu una scelta strategica a Firenze dettata dalla convenienza. A lui quel partito non interessava, però nella capitale toscana era l’unico modo di avere concrete chance di ergersi a Sindaco. Il suo obiettivo è alzare sempre di più il tiro fino allo strappo, fino ad essere “espulso”, cacciato, epurato e ghettizzato al punto da giustificare una presa di posizione netta ed imprescindibile.
Un liberale alla guida di una vecchia ferramenta di comunisti, sarebbe come prendere nella curia una ex pornostar. In fondo, come dice Berlusconi: “Sono sempre gli stessi, hanno cambiato i nomi ma le idee ed i programmi sono una maschera per occultare il doppio filo con il loro passato fallimentare”. Andarsi a confessare ad Arcore è da protestanti, per Matteo è il momento di “cambiare religione”.
Twitter @andrewlorusso
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