L’inizio di quaresima mi ha fatto pensare a Dante Alighieri e alla sua Commedia, ma in fin dei conti mi ci ha fatto pensare anche Adriano Celentano. Ora che i fuochi polemici del noto festival italiano si stanno affievolendo, possiamo tornare a parlare di quel rapporto delicatissimoche c’è tra politica e religione.
Non mi sento di dire che il noto cantautore italiano abbia completamente ragione. Così come non sentirei il diritto di pretendere una limitazione della libertà espressiva di un giornalista a causa del suo orientamento religioso o, addirittura, a causa del suo ordine religioso. La democrazia è tale proprio perché vale per tutti.
Tuttavia ricordo inevitabilmente il pensiero di Dante a riguardo. Certo, non esisteva il giornalismo e tanto mento “Famiglia Cristiana”, ma la sua teoria del rapporto fra Impero e Chiesa è inequivocabile.
All’inizio del ‘300 le massime istituzioni avevano subìto un forte logoramento, il primo perdendo il dominio sull’Italia, la seconda diventando mondana e quindi corrompendosi. Privata delle sue guide, secondo Dante, l’umanità era caduta in uno stato di irreversibile decadimento.
Una corrente di pensiero politico medioevale riteneva che se da una parte c’era il bisogno di trovare un imperatore che sostenesse la suprema potestà sull’impero, dall’altra questa sovranità doveva essere voluta da Dio, quindi strettamente legata alla Chiesa.
È qui che entra in gioco la teoria Adriano-Aligheriana.
I due poteri non dovrebbero funzionare come un Sole che brilla di luce propria e una Luna che brilla di luce riflessa. Bensì come due Soli, autonomi ed indipendenti che garantiscano l’uno la felicità in Terra, e l’altro la beatitudine eterna.
Ai tempi di Dante rimaneva una geniale utopia e forse caro Adriano, lo è ancora oggi. Noi possiamo solo ricordare questi versi del Purgatorio che non casualmente ci vengono insegnati nelle scuole senza creare alcun tipo di scandalo: “Soleva Roma che il buon mondo feo / due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere / e del mondo e di Deo”.
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