Volutamente voleva strafare. Questo era il suo intento: quello di spararle talmente grosse da essere al centro della polemica del giorno dopo, tanto da costringere l’italico popolo bigotto a richiedere un suo immediato allontanamento.
Il tentativo di maledire tutti e tutto, dal sacro al profano: dai preti alla Consulta, dai giornali cattolici al governo, ha impietosamente fallito, proprio perché la pacchiana messa in scena tra bombe, morti, eccidi truculenti è apparsa evidentissimamente poco credibile ed artefatta al teleutente (pagante) che questi ha sicuramente preso il tutto come una farsa tragicomica.
Lo scafato popolino, invece, ha probabilmente “girato” canale in attesa che finisse l’impietoso cumulo di fregnacce sparate a vanvera per quasi un’ora.
In teatro se la tragicità di un evento supera un certo livello, cade inesorabilmente nella farsa tragicomica. Lo spettatore non sa se ridere o piangere. Questa è la grande arte di Eduardo. Ma quando la tragicomica è reale come quella di Celentano – quando non canta -, lo spettatore è lì fermo in attesa di sapere dove l’artista voglia arrivare, senza reazioni, senza più ascoltare quello che dice, senza dar peso alle sue parole, pensando solo: “Ha da passà ’a nuttata!” (ovviamente la claque locale non conta).
Che pena, che angoscia, che supplizio, che tortura, che castigo, … Celentano? No assolutamente: stavo pensando ai soldi spesi dai contribuenti italiani che devono per legge pagare la RAI! Ma che c’azzecca quell’ora di maledizioni con il Festival di Sanremo? Avesse solo cantato, Celentano, il mio mito giovanile, sarebbe veramente stato il Re della serata, considerando le scarsissime e lagnose canzonette (tutte simili, dalle parole stralunate incomprensibili), ma da quando si è montato la testa qualche anno fa, credendosi Dio, è diventato veramente vecchio, fuori di testa. Ho anche un amico mezzo matto, che si crede il Duce, ma questo, al bar, quando fa i discorsi e tutti gli dicono: “Bravo, tu sì che hai ragione!”, non è pagato quasi un milione di euro!
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