L’iter parlamentare è avviato, il dibattito circola ormai sulle pagine dei giornali e si alternano prese di posizione e dichiarazioni pro e contro. La legalizzazione della cannabis è ormai un tema inserito nell’agenda politica: una proposta di legge è stata presentata sia alla camera che al senato da due parlamentari Pd, Roberto Giachetti e Luigi Manconi. A promuovere l’iniziativa è un intergruppo parlamentare i cui componenti sono elencati su un apposito sito internet in cui sono diffusi il manifesto dell’iniziativa e diversi materiali. Ma per rimanere nelle prime pagine dell’agenda politica anche a settembre c’è bisogno di immaginare alleanze e voti inediti. Se infatti facciamo i conti dei possibili voti favorevoli alla proposta di legge, emerge che l’unica speranza di approvazione del testo è che il Pd voti compatto e insieme al M5s. E anche così la legge verrebbe approvata con una maggioranza di appena sei voti al senato.
Ncd si sfila dalla maggioranza Il principale partner della coalizione di governo, Angelino Alfano, ha dichiarato che non voterà mai per la legalizzazione. La stessa posizione decisamente contraria alla legge è stata espressa da un’esponente del governo in quota Ncd, la ministra della salute Beatrice Lorenzin. È infatti proprio il loro gruppo parlamentare, Area popolare (Ncd-Udc), a fare ostruzionismo attraverso gli emendamenti. Delle oltre 1550 proposte di modifica, 1219 sono state presentate dalla deputata di Ap Paola Binetti.
Ma senza Area popolare, gli altri partiti della maggioranza di governo non sono autosufficienti per approvare le leggi. Se alla camera il Pd dispone quasi da solo della maggioranza assoluta dei deputati (301 su 630), al senato è molto lontano da quella soglia, controllando solo 113 seggi su 321. Per arrivare alla maggioranza sono necessari sia i 31 senatori di Ap, sia i 20 del gruppo Per le autonomie.
L’ipotesi di convergenza tra Pd, Sel e M5s Impossibile dunque che l’attuale maggioranza riesca ad approvare la legge, a meno di non poter contare sull’appoggio di gruppi parlamentari esterni alla maggioranza di governo. La proposta in discussione conta un lungo elenco di cofirmatari: 222 alla camera e 70 al senato. Provenienti per lo più da tre gruppi: Pd (cui sono iscritti il 38% dei firmatari della legge), M5s (da cui arrivano il 39% delle firme alla camera, e il 34% al senato) e Si-sel (circa il 12% dei firmatari).
Questi tre gruppi messi insieme avrebbero, sulla carta, i numeri per approvare la legge. Anche se al senato lo scarto sarebbe di appena 6 voti, visto che la maggioranza sarebbe raggiunta con 161 voti, e la somma dei seggi di Pd, Si-Sel e M5s arriva a 167. L’attuale maggioranza di governo sarebbe dunque scavalcata da una convergenza del Pd con parte dell’opposizione.
Non sarebbe una novità nel panorama italiano: pensiamo all’approvazione della legge sul divorzio nel 1970 grazie al voto favorevole dei partiti laici al governo (liberali, socialisti, socialdemocratici e repubblicani) e dei comunisti, nonostante la contrarietà della Democrazia cristiana. Ma quanto è plausibile oggi uno scenario simile? Possiamo analizzare la questione sotto due punti di vista:
•la compattezza dei gruppi potenzialmente favorevoli (quelli da cui provengono i firmatari sulla proposta di legge);
•la probabilità di una maggioranza alternativa a quella di governo.
Difficile dire se in effetti tutti i componenti di Pd, Si-sel e M5s voterebbero compatti a favore. Un metro indiretto può essere il numero dei membri del gruppo che hanno firmato la proposta di legge di Manconi e Giachetti. Generalmente, i firmatari di questo tipo di leggi bipartisan sono pochi, ciascuno rappresentativo del gruppo cui appartiene. I numeri in questo caso fanno invece pensare a una conta per capire chi ci sta: hanno aderito quasi 300 parlamentari su 951.
Ma l’ipotesi di una maggioranza alternativa a quella di governo sarebbe una novità assoluta per questa legislatura. In base ai dati raccolti nell’ultimo osservatorio delle leggi di Openpolis “Premierato all’italiana“, abbiamo rilevato che tra l’insediamento del governo in carica nel febbraio 2014 e la fine del 2015 nessuna legge è stata approvata in via definitiva senza il consenso dell’intera maggioranza di governo. Fa eccezione la legge sull’istituzione di una commissione d’inchiesta sul caso Moro, su cui Scelta civica si è astenuta.
Sui voti finali, Area popolare si è espressa diversamente dal Pd solo in 3 casi, sempre alla camera: sul reato di depistaggio (voto contrario), la riforma della prescrizione e il ddl diffamazione (in entrambi i casi astenendosi). Ma non si trattava mai di approvazioni definitive, il testo è tornato al senato per le modifiche.
Del resto, anche l’allargamento dell’intera maggioranza a Movimento 5 stelle e Si-Sel non è così frequente, rispetto alle convergenze con il lato destro, con Forza Italia, Lega Nord e Fdi. Frequenti i voti bipartisan, con tutti i gruppi favorevoli, ma non sembra essere questo il caso.
L’incognita Pd Nonostante la proposta provenga da due suoi esponenti di punta, l’adesione da parte dei componenti dem risulta infatti abbastanza contenuta. A sottoscrivere la legge è infatti solo il 28% del gruppo Pd alla camera e il 25% al senato. Molto più alta invece l’adesione da parte dei due gruppi di opposizione: parliamo del 96% dei cinquestelle alla camera e il 69% al senato; e dell’87,5% tra deputati e senatori di Si-sel, ovviamente molto meno numerosi.
Non è affatto detto che questa esigua presenza di esponenti Pd basti a portare l’intero gruppo sulla posizione della legalizzazione. Tanto più che l’argomento non è stato mai citato tra gli impegni del governo, non era presente nella carta d’intenti di “Italia bene comune” – il programma con cui sono stati eletti i parlamentari di Pd e Sel – né nel discorso di insediamento del presidente del consiglio, né in altre occasioni “programmatiche” o comunque di lancio di propositi e intenti, come la cosiddetta agenda dei 1000 giorni di governo. Anche per questo l’intergruppo parlamentare sulla legalizzazione della cannabis ha lanciato un appello a Renzi in favore della libertà di coscienza per i democratici.
Le prospettive dopo la pausa estiva Escludendo dunque il voto da parte di Ncd, non rimane che ipotizzare una inedita convergenza tra Pd, Si-sel e M5s. Ma è difficile pensare che ci sia una disponibilità totale da parte di tutti gli esponenti dem, vista l’adesione in misura molto minore rispetto ai due gruppi di opposizione. Tanto più che a settembre il Pd sarà impegnato in due appuntamenti di notevole importanza: l’approvazione della legge di stabilità, e il già di per sé corposo dibattito sul referendum costituzionale. Viste queste premesse, sembra proprio che la legalizzazione della cannabis sia destinata a rimanere un dibattito estivo.
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