La doppia riforma, istituzionale ed elettorale, che si va prefigurando tra le forze politiche che appoggiano il governo tecnico sta gia’ delineando il futuro pratico, e soprattutto politico, del dopo Monti. Sia pure tra molti stop and go, specie sulla legge elettorale, cio’ di cui stanno discutendo Pdl, Pd e Terzo polo, con il ruolo molto attivo di Pier Ferdinando Casini e di Angelino Alfano, prevede da una parte la riduzione dei parlamentari, la fine del bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri del governo anche con l’introduzione della corsia preferenziale per i suoi disegni di legge e soprattutto con la sfiducia costruttiva; dall’altra parte (la riforma elettorale) si sta lavorando ad un modello tedesco con una variante spagnola. Spieghiamo: il premio di maggioranza non sarebbe piu’ riservato, com’e’ stato finora, al partito o alla coalizione vittoriosa, ma ai partiti che superino l’11 per cento; nessun premio verrebbe attribuito a chi si colloca tra il 5 e l’11 per cento; ed il cinque per cento costituirebbe appunto la soglia minima per entrare in Parlamento.
Deputati e senatori verrebbero quindi eletti con il metodo proporzionale, fortemente corretto dal premio di maggioranza. Si tratta di un sistema che ovviamente privilegia i partiti maggiori, ma non esclude ne’ coalizioni omogenee (come quella al governo in Germania tra Cdu e liberaldemocratici; e prima tra Spd e verdi); e neppure grandi coalizioni in situazioni di particolare emergenza. L’ultima soluzione di questo tipo e’ stata praticata sempre in Germania nel 2005, dopo la vittoria risicata di Angela Merkel sui socialdemocratici di Gerhard Schroeder che non consentiva, allora, di affrontare efficacemente la situazione economica successiva all’unificazione voluta da Helmut Kohl e le grandi riforme del lavoro e del fisco impostate da Schroeder. Proprio per non lasciare l’opera a meta’, i partiti maggiori si misero d’accordo garantendo alla Merkel un ampio sostegno parlamentare. Nel 2009 la cancelliera ando’ alle elezioni anticipate per tornare ad una maggioranza politicamente piu’ omogenea. La formula, che funziona anche in Spagna, non impedisce dunque ne’ un sostanziale bipartitismo attorno alle due forze maggiori (cristiano-democratici e socialdemocratici a Berlino; popolari e socialisti a Madrid), ne’ appunto le grandi coalizioni. Che nessuno si sognerebbe mai di definire, come da noi, inciuci o pateracchi. E neppure di ammantarle di etichette altisonanti quali "compromesso storico": non si tratta infatti di soluzione per la storia, ma per l’attualita’ contingente. Ma soprattutto le novita’ riporterebbero il baricentro della politica italiana al centro (che sarebbe indotto ad unire le forze e quindi a rafforzarsi), togliendo potere alle estreme.
Una netta evoluzione anche in senso europeo delle cosiddetta seconda repubblica; anzi, un approdo alla terza. Non c’e’ dubbio che a maggio 2013, tra poco piu’ di un anno, la fitta agenda di Mario Monti sara’ tutt’altro che espletata. Basta pensare a riforme complesse come quella del mercato del lavoro o del fisco; per non parlare del complesso di misure per la crescita. E dunque il governo dovra’ prevedibilmente ed auspicabilmente proseguire la propria opera. Magari con il consenso preventivo di tutti. Se cosi’ non fosse assisteremmo a due fenomeni piu’ che negativi, anzi nefasti. E cioe’: la caccia al tecnico da parte del centrodestra o del centrosinistra; ed una campagna elettorale con il ritorno agli slogan ideologici e distruttivi del tutti contro tutti. Il risultato sarebbe una massiccia fuga dalle urne degli elettori – ormai sempre piu’ distanti dai partiti e invece sensibili alla politica delle cose concrete – ed un nuovo drammatico indebolimento dell’Italia sulla scena economica internazionale. Avremmo buttato via i sacrifici e il lavoro di questo anno e mezzo.
Anche la riforma istituzionale va nel senso di garantire un dopo-Monti nel segno della continuita’. La riduzione del numero dei parlamentari e la fine del bicameralismo, benche’ timide, sono riforme indispensabili per restituire alla politica efficienza (ed forse un minimo di popolarita’). La corsia preferenziale e la sfiducia costruttiva rafforzano la capacita’ decisionale dell’esecutivo. Tutto quanto – riforma istituzionale ed elettorale – riduce il potere di veto e ricatto delle forze minori fondate sulla demagogia. Il primo a prevedere questo scenario e’ stato Casini; ma il messaggio sta passando anche nel Pdl, dove caso mai il problema e’ il ruolo di Alfano e la "discontinuita’" con Berlusconi. Il paradosso e’ che lo stesso Cavaliere e’ ormai tra i piu’ accaniti tifosi di un Monti che succeda a se stesso. Con la buona volonta’, e soprattutto con il buon senso, i problemi si possono dunque risolvere nell’area moderata.
Meno a sinistra, dove la leadership di Pier Luigi Bersani continua ad indebolirsi primarie dopo primarie, ma soprattutto sugli atti concreti del governo. La riforma delle pensioni e’ stata digerita in nome dell’emergenza; quella del mercato del lavoro puo’ spaccare il partito e far saltare il trazionale asse con la Cgil. Una evoluzione, se la classe dirigente della sinistra riuscira’ a comprenderla e farla propria, simile a quella dei laburisti inglesi e dei socialdemocratici tedeschi. Ma se Monti sara’ ancora piu’ incisivo su fisco e privatizzazioni, la sinistra dovra’ o recuperare in breve tempo cinquant’anni di modernizzazioni mancate, oppure tornare all’opposizione. Anche perche’ stavolta nessuno puo’ contare ne’ sulla spesa facile, ne’ su promesse di redistribuzione fiscale ne’ su inesistenti tesoretti.
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