La precarietà nella quale sta cadendo la nostra rete consolare dimostra ancora una volta il disinteresse del governo italiano, non solo per gli italiani all’estero, ma anche per la promozione del sistema Italia nel mondo. Gli esponenti del governo e della maggioranza non perdono l’opportunità di dichiarare l’importanza vitale dell’intensificare la presenza dell’Italia nel mondo e la necessità di conquistare nuovi mercati; in realtà i tagli indiscriminati alle risorse della rete consolare (come la dotazione finanziaria alle sedi), la chiusura di consolati e ambasciate, non fanno altro che rendere impossibile il lavoro nelle strutture consolari.
I limiti che le diverse leggi di stabilità che si sono succedute impongono al MAECI sull’assunzione di personale e sul trattamento economico del personale all’estero, provocano un sempre maggiore disinteresse da parte del personale e della diplomazia nel coprire i posti vacanti nei consolati e nelle ambasciate. Allo stesso tempo la rete consolare onoraria si ritrova dimezzata, dimenticata, senza risorse, al punto che chi svolge il ruolo di viceconsole, agente o corrispondente non solo lo fa gratuitamente, ma deve anche coprire le spese operative di tasca propria.
Per mantenere un minimo di presenza istituzionale italiana nelle circoscrizioni consolari oltreoceano geograficamente più estese, i consoli efficienti (quelli che si interessano) si vedono obbligati a trasformarsi in cacciatori di “personale che lavori gratis”.
Nonostante l’incremento delle entrate derivanti dalle percezioni consolari (300 euro la tassa di cittadinanza) i consolati non possono erogare servizi adeguati a un numero sempre maggiore di iscritti all’AIRE. Un paradosso che descrive la confusione del Governo Renzi su quanto fa per gli italiani nel mondo.
Però il paradosso è persino maggiore. Mentre i consolati stentano a fornire i propri servizi consolari, si esige che la rete diplomatica generi commerci, come se non esistessero enti specifici dedicati a tale fine, come la rete delle Camere del commercio e l’ICE, anche loro in ginocchio dopo i tagli al bilancio.
Gli Istituti italiani di cultura sono obbligati a trasformarsi in accademie di lingua per generare risorse, si preoccupano sempre di più di fare corsi di italiano per autofinanziarsi. Intanto smettono di promuovere la cultura per dedicarsi alla competizione con le Associazioni. Gli Enti gestori, creati per diffondere la lingua italiana, con un grande sforzo da parte del volontariato delle comunità locali, sono abbandonati non solo finanziariamente, ma anche dal punto di vista didattico e progettuale, dato il numero sempre minore di direttori didattici nei consolati e le sempre più vaste zone geografiche assegnate ad ognuno di loro, impossibili da gestire.
Tra poche settimane il governo presenterà la legge di stabilità 2017, speriamo che se ne ricordi con le sue proposte e vedremo se il cambiamento è realmente un cambiamento di tendenza o se si continuerà con l’attuale stato di confusione e a pretendere di valorizzare gli italiani all’estero e intensificare la presenza dell’Italia nel mondo con l’austerity.
* consigliere CGIE e coordinatore del MAIE Patagonia
Discussione su questo articolo