L’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha invitato Repubblica Dominicana e Haiti a risolvere attraverso il dialogo la crisi sorta con la costruzione di un canale che devia il corso del fiume binazionale “Masacre”. Una crisi che “non garantisce benefici a nessuna delle parti”, sottolinea l’ente panamericano offrendo l’appoggio per risolverla, “direttamente, attraverso qualsiasi Stato associato o organizzazione regionale”. La Repubblica Dominicana ha risposto alla costruzione del canale, motivo di un impoverimento delle risorse idriche per i propri agricoltori, chiudendo le frontiere con il Paese vicino. “Non c’e’ dubbio che Haiti e la Repubblica Dominicana hanno eguali diritti d’uso sul fiume e che le risorse idriche sono vitali per entrambi, viste le necessita’ dei rispettivi abitanti, specialmente nell’attuale contesto di siccita’”, si legge nella nota. In questa situazione e’ obbligatorio portare avanti “il dialogo e la comprensione reciproca”, nonche’ “evitare qualsiasi tensione e lavorare per superare le differenze”.
La Repubblica Dominicana – si legge su Azzurro Caribe, periodico degli italiani di Centro America e Caraibi – ha disposto la chiusura delle frontiere “aeree, marittime e terrestri”, fino a quando non si mettera’ fine alla costruzione del canale. “Le misure rimarranno in vigore fino a quando non otterremo la paralisi definitiva del canale in costruzione”, ha detto il presidente dominicano, Luis Abinader, commentando in un discorso televisivo la piu’ recente evoluzione della cosiddetta “crisi dell’acqua”. Nell’intervento a reti unificate di poco meno di dieci minuti, il presidente ha ricordato che oltre alla chiusura delle frontiere, il governo ha anche disposto il veto all’ingresso nel Paese dei “promotori” del canale e il rafforzamento della frontiera. Una riposta “contundente” a un fenomeno che, assicura Abinader, nulla ha a che vedere con le relazioni tra i due popoli.
Il presidente ha ricordato che alcuni cittadini haitiani hanno iniziato nel 2018 a costruire “in modo privato e unilaterale” l’opera. Lavori che si erano interrotti con l’assassinio del presidente Jovenel Moise, nel luglio del 2021, e che sono pero’ ripresi da alcune settimane, per mano “degli stessi agenti provocatori di sempre”. Santo Domingo prende provvedimenti per frenare gli “incontrollabili, responsabili dell’insicurezza ad Haiti, che per loro interessi privati adesso cospirano anche contro la stabilita’ del loro governo e la sicurezza delle nostre risorse idriche”. Se nel Paese vicino ci sono “incontrollabili, vi assicuro che non lo saranno per gli interessi del popolo dominicano”, ha aggiunto.
Il governo della Repubblica Dominicana aveva disposto la chiusura delle frontiere dalla mattina del 15 settembre, scaduto l’ultimatum dato quattro giorni prima alle autorita’ haitiane. Nel mirino di Santo Domingo un “canale privato” che “imprenditori haitiani” starebbero costruendo per deviare parte delle acque del Masacre, fiume che corre lungo la frontiera, verso una riserva destinata ad alimentare l’agricoltura delle loro aziende. La costruzione del canale rischia soprattutto di lasciare a secco le risaie e togliere acqua preziosa agli allevamenti di bovini per la produzione del latte, le due principali risorse economiche della strategica citta’ Dominicana di Dajabon. La chiusura delle frontiere, e dei mercati che corrono lungo il confine, avra’ inevitabili ricadute sulle economie dei due Paesi e soprattutto di quella haitiana, gia’ in pesante sofferenza.
Ancora prima della chiusura delle frontiere, aveva attivato una serie di misure: frontiere chiuse a tutte le persone ritenute coinvolte nel “conflitto idrico”, gli artefici del canale definiti responsabili del “peggioramento delle relazioni bilaterali”. Viene quindi sospesa l’emissione di nuovi visti che normalmente vengono richiesti dai cittadini haitiani per poter uscire dall’isola usando gli aeroporti dominicani. Nel frattempo e’ stato inoltre riaperto un canale nei pressi di Dajabon operante fino a una quindicina d’anni fa, per permettere – in emergenza – di garantire un flusso d’acqua ai produttori dominicani. E per evitare altre brutte sorprese nel lungo periodo, il governo Abinader decide di aprire da subito la gara per la costruzione della diga Don Miguel, da realizzarsi entro trenta mesi.
Il governo di Haiti, da parte sua, rivendica il diritto di sfruttare come meglio crede le proprie risorse naturali, e adottera’ tutte le misure utili a “proteggere gli interessi del popolo”. La Repubblica di Haiti, si legge in una nota diffusa all’indomani della chiusura delle frontiere, “puo’ decidere sovranamente lo sfruttamento delle sue risorse naturali” ed ha “il pieno diritto di fare delle opere, nel rispetto degli accordi del 1929” recita l’ufficio del primo ministro. Il governo “adottera’ tutte le disposizioni necessarie per proteggere gli interessi della Popolo haitiano”, aggiunge la nota. Haiti “prende atto della decisione della Repubblica Dominicana di chiudere tutte le frontiere”. Scelta, sottolinea il governo haitiano, formalizzata pero’ nel pieno dei colloqui che le delegazioni dei due Paesi stavano tenendo da due giorni e che procedevano “sulla buona strada”.
Dieci organizzazioni non governative attive nella Repubblica Dominicana hanno contestato la chiusura della frontiera con Haiti a causa della disputa per la costruzione di un canale sul fiume Masacre e hanno esortato le parti a negoziare una soluzione diplomatica. Le Ong firmatarie sono: Movimiento socialista de trabajadores y trabajadoras, Rd Haitiana, Movimiento Reconocid, Rd Aquelare, Grupo Jobillos Jobness, Movimiento sociocultural de trabajadores Mama Tingo, Movimiento sociocultural de trabajadores haitianos (Mosctha), Coordinadora nacional popular, La Ceiba e Sindicatos de la diaspora. L’appello e’ stato lanciato in seguito alla chiusura della frontiera scattata venerdi’ 15 settembre. Nella stessa giornata il ministero degli Esteri haitiano ha convocato l’ambasciatore dominicano a Port-au-Prince, Faruk Miguel.