Solo pochi giorni fa abbiamo appreso che la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis approderà alla Camera il prossimo 25 luglio. Il testo normativo prevede sostanzialmente che la coltivazione, la lavorazione e la vendita della cannabis e dei suoi derivati sono legalizzate e assoggettate al monopolio di Stato. Le altre importanti novità riguardano: la legalizzazione della coltivazione da parte dei privati maggiorenni della cannabis a scopi ricreativi, con un massimo di cinque piante di sesso femminile; la autorizzazione della detenzione di 15 grammi di cannabis presso il domicilio o di 5 grammi al di fuori di questo; la legalizzazione della cessione gratuita di piccoli quantitativi.
Inoltre è ammessa, sul modello dei cannabis social club spagnoli, la coltivazione in forma associata senza scopo di lucro.
La rottura con il passato è evidente, soprattutto alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale che ha ribadito l’illiceità penale tout court della coltivazione casalinga di piccoli quantitativi di cannabis (rigettando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 DPR 309/1990 nella parte in cui non prevedeva la illiceità meramente amministrativa di tali condotte).
Per il momento – in attesa di novità legislative – la coltivazione di poche piante resta dunque reato.
Ancora una volta la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo ha espresso un netto parere favorevole alla legalizzazione delle condotte oggi punite, sia pure con qualche limite.
Lungi dall’entrare nel dibattito politico che da molti anni caratterizza la materia, la DNA si limita ad offrire una analisi oggettiva di tutti i dati in suo possesso. Dati da cui risulta la sconfitta dello Stato nella guerra al narcotraffico. Così, a fronte di una stabilizzazione del consumo di droghe pesanti tradizionali si è registrato un aumento esponenziale del consumo di cannabinoidi, a livello europeo.
Questo enorme mercato è controllato in regime di monopolio dalle associazioni criminali: la camorra e la ‘ndrangheta.
L’aumento del consumo di tali sostanze ha comportato, peraltro, un aumento della produzione in Afghanistan. Dunque, il traffico di stupefacenti, aumentando le risorse del narcotraffico, finisce per alterare il sistema economico europeo e per stimolare l’economia di zone controllate da gruppi fondamentalisti; la produzione e la cessione di cannabis si traduce, in ultima analisi, in una fonte di finanziamento del terrorismo.
Se da una parte, dunque, per combattere il fenomeno sarebbe necessario intervenire controllando i fenomeni di riciclaggio nel sistema economico europeo, da un’altra parte, il dispendio di risorse per contenere il traffico di cannabis, che è in continua crescita, pare del tutto irrazionale.
La verità, secondo la DNA, è che di fronte ad 80 milioni di consumatori presenti nella sola Europa, di fronte ad un mercato che ha ormai l’ampiezza di quello della Coca Cola, dei tabacchi e degli alcolici, lo strumento penale diviene di per sé inadeguato.
Il ricorso al monopolio di Stato nella produzione e nella cessione delle sostanze derivate dalla cannabis potrebbe dunque ridurre gli enormi guadagni delle mafie e liberare risorse che potrebbero essere impiegate in altri tipi di indagini. Lo Stato potrebbe inoltre accrescere i propri introiti con il ricorso alle accise, tagliando al contempo il finanziamento, ancorché indiretto, dei gruppi terroristici in Afghanistan.
Ciò che alla DNA non piace della riforma è la legalizzazione della produzione casalinga, o affidata ai c.d. cannabis social club. Il timore è che queste associazioni possano finire in mano a gruppi criminali. Così anche la auto-produzione, pur essendo limitata alla coltivazione di sole cinque piante, potrebbe implicare una cessione non controllabile e la qualità del prodotto potrebbe essere scadente e dunque eccessivamente dannoso.
In definitiva, viene apprezzato il ricorso al monopolio di Stato, ma viene censurata la produzione privata che potrebbe, per i magistrati, essere inquinata dalle mafie.
La proposta di legge viene criticata anche sotto altri aspetti: non vengono, ad esempio, approvate le restrizioni all’utilizzo in luogo pubblico, essendo ritenute sufficienti restrizioni identiche a quelle previste per l’utilizzo del tabacco (ad esempio divieto di fumo nei ristoranti o in locali chiusi).
Anche i limiti alla quantità massima detenibile paiono alla DNA irrazionali: si dovrebbe distinguere fra cannabis prodotta dallo Stato (in questo caso il superamento dei 5 grammi dovrebbe essere punito con lievi sanzioni amministrative) e la cannabis di diversa origine per la cui detenzione sarebbero necessarie pene severe.
Per i magistrati, la proposta Giachetti è uno strumento idoneo a rendere più efficace l’azione di contrasto al traffico di stupefacenti, ma la cannabis dovrebbe essere equiparata, sotto molti aspetti, al tabacco.
In conclusione, oltre alle osservazioni della DNA, pare potersi aggiungere che la guerra al narcotraffico non ha un costo solo economico, ma sociale, poiché lascia dietro di sé numerose vittime. Inoltre non pare, francamente, che la auto-produzione di piccoli quantitativi, riconosciuta dalla Suprema Corte come inoffensiva, possa in qualche modo alimentare il business delle mafie, ma pare, al contrario, che lo possa ridurre.
Ad ogni buon conto i tempi sono maturi per un cambiamento radicale, sia questo un mero ricorso al monopolio di Stato o, a fortiori, anche una legalizzazione della produzione casalinga.
Fabio Clauser, legale Aduc
Associazione per i diritti degli utenti e consumatori
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