Dopo 13 anni nella Capitale riapre Zemanlandia. Il ritorno ufficiale sulla panchina della Roma di Zdenek Zeman coincide esattamente con la data del suo addio ai colori giallorossi. Il 4 giugno del 1999, infatti, il tecnico boemo saluto’ tutti con una conferenza stampa all’estrema periferia sud della citta’. Con un breve monologo ‘Zdengo’ sintetizzo’ l’esperienza biennale vissuta a Trigoria, ringraziando soprattutto quei tifosi "che mi hanno seguito e hanno sognato quello che ho sognato io: raggiungere qualcosa di importante rispettando i principi e la morale, con il lavoro, la correttezza e la lealtà".
Purtroppo per Zeman quel "qualcosa di importante", almeno a livello di successi sul campo, non si realizzo’. "Ma anch’io ho una mentalita’ vincente – disse – solo non mi piace vincere a tutti i costi. Mi piace farlo rispettando le regole. Chi fa 13 al Totocalcio non e’ un vincente. Lo sono quelli che lavorano e cercano di migliorarsi andando avanti secondo determinati codici". Nella sua prima stagione alla Roma (1997-98), Zeman ebbe il merito di lanciare definitivamente Totti e riaccendere la passione nei tifosi romanisti nonostante il record negativo delle quattro stracittadine perse con la Lazio (e segnate dalla frase "il derby di Roma e’ una partita come le altre, vale tre punti proprio come le altre"). Certo, ci furono anche le goleade sul Napoli (6-2), sul Brescia (5-0), sul Milan di Capello (altra cinquina), il quarto posto finale in campionato e il conseguente accesso alla Coppa Uefa; soprattutto ci fu in estate la denuncia del calcio prigioniero di "farmacie e uffici finanziari" e l’avvio del durissimo confronto con la grande Juventus di Lippi. Contro la quale, nel corso del secondo anno a Roma (1998-99), consegui’ forse la vittoria piu’ importante del suo corso giallorosso (2-0 firmato da Paulo Sergio e Candela davanti a uno Stadio Olimpico pieno come un uovo).
Il successo sui bianconeri, assieme ai due derby di campionato (3-3 in rimonta nel girone d’andata e vittoria per 3-1 al ritorno) furono pero’ gli unici picchi di un’annata tutt’altro che positiva, caratterizzata anzi dall’incredibile ko per 4-5 con l’Inter (che forse convinse definitivamente Sensi a liberarsi del boemo per puntare su Capello), dal quinto posto finale in classifica, dalla cocente delusione in Coppa Uefa nei quarti di finale con l’Atletico Madrid, dall’eliminazione ai rigori agli ottavi di Coppa Italia contro l’Atalanta.
Eppure, nonostante la mancanza di trofei in bacheca, Zeman in questi 13 anni ha continuato a riscuotere un fascino tutto particolare sulla sponda giallorossa del Tevere. E’ stato adottato dalla citta’ (dove ha continuato ad avere casa nella zona del Fleming), difeso nelle sue battaglie contro il calcio dopato, rispettato per il suo integralismo ("modulo e sistemi di allenamento non li cambiero’ mai, qui a Roma come in un’altra citta’. Per coprire il campo non esiste un modulo migliore del 4-3-3"), ammirato per i suoi metodi di lavoro ("pretendo che ogni giocatore dia il meglio di se stesso, nel rispetto dell’esigenza di fare spettacolo. Se non vinciamo, nessun dramma. Mi basta che i ragazzi abbiano dato il massimo").
Insomma, in quei due anni l’allenatore boemo per Roma e’ stato un centro di gravita’, tanto da diventare fonte di ispirazione per un cantautore come Venditti che con "La coscienza di Zeman" ha tessuto le lodi di un uomo mai sceso a compromessi. E che adesso e’ pronto a riaccendere nella Capitale il suo personalissimo parco divertimenti.
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