Grande festa per i morattiani, ieri sera, a San Siro e duro smacco per i berlusconiani che tutti davano favoriti. Pato a parte. E adesso – vedrete – se la prenderanno col Papero, per ragioni tattiche e… di famiglia; e si tornerà a invocare Tevez, il campionissimno – si fa per dire – che sta allenandosi sulle spiagge dorate del Sudamerica. Per gli interisti, infelicemente caduti qualche mese fa addirittura in zona retrocessione, il Derby è più che una medicina: è una prova di forza, di carattere, di salute tecnica, è una sorta di resurrezione conquistata con un’arma insolita, l’Umiltà.
Mi sento di dire, a questo punto, che quando si saranno accorti delle armi con le quali Ranieri ha riconquistato una posizione degna dell’Inter, riprenderanno a snobbarlo, a rimpiangere Mourinho, a invocare Guardiola: perché il signore di Testaccio non è un venditore di fumo nè un prodigioso alchimista abile negli intrugli tattici, ma semplicemente un professionista esperto di calciatori e di uomini, di piedi e di cervelli, come ho raccontato ricostruendo la sua lunga carriera da Grande Rappezzatore. E questo, a Casa Inter, può non bastare.
C’è una prova evidente del basso profilo scelto da Ranieri per rifare un’Inter che prese quand’era da buttare: la permanenza in panchina di Sneijder, forse ormai convinto di essere un unto del Signore e dunque lasciato a meditare sulla sua grandezza virtuale mentre il gioco – e il successo – lo fanno non solo Zanetti e Cambiasso e Samuel e Milito, gli umili argentini pronti a farsi in quattro per la Beneamata, ma anche quel curioso pedatore che fu prelevato dal Cesena – Nagatomo – e pareva fosse a sua volta un sintomo della crisi. Mentre è felicemente il motorino della rinascita. Tutte qui – tutte in quella perfetta diagonale di piatto sinistro che ha permesso a Milito di segnare al 53’ per l’Inter e per se stesso – le emozioni di una partita troppo attesa, troppo strombazzata e preceduta da millanta segnali per nulla calcistici per diventare un Derby vero, un classico, un pezzo di storia meneghina come i tanti scodellati in una vigilia molto mediatica
e di poca sostanza.
La Juve – felice del risultato di Milano e soddisfatta del proprio record di imbattibilità – a questo punto non può nascondersi dietro gli sguardi e i sorrisi malìosi di Conte: pur ferita dal pareggio con il Cagliari deve riassumere idee e progetti, farsi coraggio e convincersi che questa è la sua stagione solo se ci crede, solo se approfitta dell’occasionale dèbacle rossonera. Ho sempre detto che il Milan lo scudetto può solo perderlo: be’, iersera ha fatto le prove. Le emozioni vere si son vissute altrove. A Verona dove il Palermo ha esibito le pene di trasferta come se ci fosse ancora Mangia – e chissà che non torni – come a Firenze, dove la crisi pare inarrestabile se è vero che anche il povero Lecce ci va a dettar legge. Assumendo quello spirito guerriero esibito all’improvviso anche dal derelitto Cesena e dal molle Parma. L’agitazione sul fondo garantisce una lotta senza quartiere anche al vertice. A proposito di emozioni, il meglio calcio, ieri, s’è visto a Genova: il professor Marino ha consumato una signorile vendetta con l’Udinese e ha fatto un vero capolavoro, visto che il Genoa era a pezzi. Un bravo tecnico è tornato in pista. E forse Zamparini ha sbagliato lasciando che andasse a Genova…
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