Un aspetto importante di queste ultime settimane è lo sbando del Partito Democratico. Una volta di più a sinistra non si riesce ad avere una interpretazione univoca sui problemi, ma soprattutto si è profondamente divisi sulle questioni di fondo.
E’ un problema che il Pd si porta dietro dalla sua nascita con quella antistorica fusione a freddo tra l’anima cattolica e quella comunista.
Sono ormai tanti anni che si ripete il solito copione: una parte del Pd vorrebbe stringere anche di più i rapporti con la CGIL, gli ultrà comunisti di SEL e con Di Pietro, gli altri ipotizzano invece una alleanza con il Terzo Polo e magari anche con il PdL (almeno su alcune questioni) e non accettano le scelte massimaliste dell’altra parte del partito e ne sono divisi da una profonda rivalità, ma soprattutto dal modo stesso di veder le cose.
In mezzo c’è il povero Bersani che cerca di barcamenarsi con crescente fatica in un eterno gioco da Penelope smentendo il giorno dopo le dichiarazioni del giorno prima, tirato per la giacca da questa e quella componente. Di più: ad ogni elezione primaria per scegliere qualche candidato unitario dell’intera sinistra gli iscritti e simpatizzanti del Pd disertano le urne e così passano i candidati di estrema sinistra, come a Genova, moltiplicando i problemi.
E’ una situazione fotocopia di quanto successo con Prodi (che però stava in piedi con i voti ufficiali di Rifondazione Comunista) e con una divisione di mentalità prima ancora che politica che appare evidente nelle discussioni sull’articolo18 come in quasi tutte le scelte economiche che bisogna pur fare se Monti & C. vogliono proseguire sul piano delle riforme.
Di qui un tormento intestino continuo di un Pd “double face” che per salvare il proprio elettorato non può permettersi di perdere una delle sue due “anime”, ma che spesso condanna non solo il partito, ma tutta la politica italiana a un cronico immobilismo.
Se poi a livello romano c’è comunque una sorta di intesa o armistizio politico è in periferia, dove le assurdità e le criticità del Pd appaiono ancora più evidenti.
Nella mia città, per esempio, il partito si è auto-serrato in una logica di opposizione preconcetta e senza sbocchi, che forse paga in termini di spazio sui giornali ma certo non sui contenuti: dire sempre di no su qualsivoglia problematica, rifiutare il confronto, criticare i “tagli” ma non proporre alternative è tipico di chi non vuole capire che stiamo vivendo tempi eccezionali e nei quali si dovrebbe avere tutti il coraggio di tenere le proprie posizioni, ma di concordare almeno sui temi programmatici più importanti, anche perchè le scelte di fondo di qualsivoglia amministrazione vanno al di là dei tempi elettorali.
Anche nella nostra provincia si è vista nei giorni scorsi questa strana combine di un Pd contemporaneamente “di lotta e di governo” con una squallida aggressione al presidente Massimo Nobili (PdL) “reo” – secondo il Pd – di aver utilizzato una società pubblica per far svolgere dei lavori edili alla propria abitazione, dimenticando di dire che quegli stessi lavori erano stati approvati dal consiglio di amministrazione, soprattutto pagati addirittura in parte in anticipo e senza sconti, ma soprattutto servivano a non far licenziare alcuni dipendenti che erano senza lavoro. Il fatto è che ora sarà molto difficile che altri privati utilizzino quella stessa società per qualsivoglia altra iniziativa, con il bel risultato di portarla al fallimento. Era questo l’obbiettivo dell’ala estremista del Pd locale? Congratulazioni!
Se da una parte voglio quindi esprimere piena solidarietà a Nobili mi chiedo anche dove siano però quegli esponenti del Pd che in privato criticano queste scelte (come tante altre) del proprio partito, ma poi – in pubblico – tacciono sempre.
*già deputato PdL e sindaco di Verbania
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