"La lenta metamorfosi si compie per cause di forza maggiore: fra pochi giorni Silvio Berlusconi sara’ romano. L’agenzia Radiocor – scrive La Stampa – ha infatti citato fonti dell’anagrafe secondo cui il capo di Forza Italia ha chiesto di prendere residenza a palazzo Grazioli, a due passi da piazza Venezia, dove soggiorna dal 1994 quando gli tocca di stare nella capitale per motivi politici. E pero’ non ci veniva volentieri, soprattutto all’inizio. Lui era il Grande Brianzolo, l’uomo del fare, il presidente del Milan, il pioniere delle tv private, soprattutto il costruttore di Milano 2 e Milano 3, e cioe’ il vecchio patron solido come un mattone. E anzi, sarebbe arrivato a Roma, da presidente del Consiglio, a portare un po’ della concretezza del cumenda nel regno della fumisteria, della tattica, del gergo infido e ambiguo, dell’incomprensibilita’ e della proroga elevati a pietre angolari della cosa pubblica.
Calo’ attorniato di avvocati e manager cisalpini, tutti con la ‘e’ larga, l’atteggiamento da ganassa: pareva che avrebbero trasformato il palazzo in una grande calcolatrice, per cui due piu’ due avrebbe cominciato a fare quattro. E poi Berlusconi aveva sempre l’aria di quello che non vedeva l’ora di ritornare a respirar la nebbia, a guardare lungo l’autostrada i capannoni che tanto ornamentali non si direbbero, ma sono tutti monumenti alla laboriosita’ padana. Via via si e’ affezionato a Roma, e non soltanto alla citta’, ma a tutto cio’ che rappresenta: lui stesso e’ diventato il fuoriclasse indiscusso del bizantinismo, della trattativa sotto banco, dello scambio in penombra, del bluff. Persino della corruttela da basso impero, secondo qualche procura. I personaggi della sua scena i Lavitola, le D’Addario – paiono fuggiti da una sceneggiatura di Mario Monicelli. Un’evoluzione (e un fraintendimento) dell’astuzia democristiana, ora declinata nel linguaggio sfacciato e sbrigativo, oltre che immediato ed efficace, della Seconda repubblica. La metamorfosi si compie in un uomo che per ragioni politiche – e precisamente di agibilita’ politica – decide di lasciare le sue ville pedemontane e stabilirsi a cinquecento metri da Montecitorio. Che decida di chiedere l’affidamento in prova, e cioe’ l’assegnazione ai servizi sociali, oppure la detenzione domiciliare, Berlusconi ha bisogno di restare a portata di mano, di essere a contatto, per quanto gli sara’ permesso, con i suoi per discutere di quello che succede, prendere decisioni, contromisure.
Naturalmente i suoi spostamenti e le visite che ricevera’ dovranno essere convalidati dal giudice di sorveglianza. E pero’ e’ evidente a tutti che risiedere ad Arcore avrebbe ulteriormente complicato i piani di Berlusconi, che ritiene di investire i mesi della detenzione per tenere il partito e preparare il ritorno. E infine non dobbiamo trascurare – come spiega uno che le questioni berlusconiane le conosce – un aspetto tecnico della faccenda: difficilmente Berlusconi avrebbe ottenuto di scontare la pena ad Arcore, dove ha l’eliporto, una dotazione eccessiva per un recluso".
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