La sentenza di ieri, con cui la Corte Costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzione tra poteri sollevato da Palazzo Chigi nei confronti del tribunale di Milano, è l’ennesima tappa della “guerra dei 20 anni”. Una “guerra” che destabilizza il Paese e che vede uno dei tre pilastri (esecutivo, legislativo e giudiziario) del nostro stato ergersi a potere supremo per intromettersi nella vita politica italiana nel tentativo di “eliminare” attraverso le vie giudiziarie un leader politico che la sinistra non è riuscita a battere attraverso il mezzo democratico delle elezioni.
Quella che oggi ha assunto in via definitiva l’aspetto della persecuzione nei confronti di Silvio Berlusconi, nel dipanarsi degli anni, non ha danneggiato solo l’uomo, l’imprenditore e le aziende ma l’intero Paese. Un esempio: l’avviso di garanzia notificato nel 1994 a Silvio Berlusconi. Quell’avviso di garanzia ha fatto cadere, dopo appena sei mesi, un governo che si presentava innovativo ed innovatore e che non ha potuto operare per l’intromissione della magistratura. Intromissione che alla fine si è dimostrata essere fondata sul nulla.
Ma tornando al presente, gli ultimi processi in cui è imputato Silvio Berlusconi sono ridicoli e vergognosi perché sono assolutamente indiziari. Gli strumenti investigativi non vengono utilizzati per ricercare la prova, ma per divulgare delle notizie che non sono penalmente rilevanti e che hanno come scopo principale quello di distruggere l’immagine dell’avversario politico che si vuole eliminare.
Il processo Mediaset si basa sul principio dell’“ovvietà”. Ossia i giudici affermano che era ovvio che la gestione dei diritti televisivi facesse capo a Silvio Berlusconi. Quello Ruby invece sull’assunto che “non poteva non sapere”, cioè che non è ammissibile che Berlusconi non sapesse che Ruby era minorenne.
Ritengo giusto tra le altre cose sottolineare le parole di Franco Coppi in merito alla sentenza di ieri. Per Coppi quanto accaduto crea un precedente pericoloso perché consente ad un giudice di stabilire quando un Consiglio dei Ministri è differibile o meno. Dall’altra parte quel particolare Consiglio dei Ministri a cui si fa riferimento nella sentenza non era stato convocato “tanto per” come vogliono far credere, ma aveva all’ordine del giorno la legge anticorruzione e la decisione sulla partecipazione dell’Italia nell’incremento delle risorse del Fondo Monetario Internazionale.
Se si continua su questa strada, se passa il principio che in Italia si può “far fuori” un leader politico attraverso la magistratura, il nostro non potrà più considerarsi un Paese civile e democratico, ma una nazione che assume sempre di più i contorni di una dittatura. Quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria esecuzione politica per via giudiziaria e questo non solo è inammissibile, ma anche inaccettabile. Se questo intento dovesse andare in porto il danno non sarebbe arrecato solo a Silvio Berlusconi e al Popolo della Libertà, ma al grado di civiltà dell’Italia.
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