Uno dei temi a cui la politica nostrana è altamente sensibile nell’era della comunicazione 2.0 riguarda sicuramente la propensione e l’impegno alle attività politiche-istituzionali delle donne, visto che i ruoli chiave della società sono stati sempre atavicamente prerogativa maschile.
Il fuoco del legislatore nelle innumerevoli proposte e disegni di legge susseguitesi nel tempo è stato quello di porre un numero legale imprescindibile di “colore rosa”. Ovvero una quota destinata obbligatoriamente alle donne all’interno dei consigli di amministrazione, nelle liste civiche e partitiche, nelle istituzioni e in tutti quei consessi ad alta caratura professionale.
Il concetto di base se pure nobile, ovvero dare a tutti pari opportunità d’accesso, in questo modo tuttavia diventa volano per essere tacciati di maschilismo e finto perbenismo.
Partiamo dal presupposto che per quanto riguarda il sottoscritto e tutti i coscienziosi che conoscono le potenzialità esprimibili dalle risorse umane (indipendentemente dal colore della pelle, dalla razza, dall’etnia o dal sesso) una impresa quotata in Borsa od un movimento nazionale alla guida del Paese potrebbero essere tranquillamente rappresentate ed organizzate da sole donne, o soli uomini.
Il punto è che mentre come orizzonte ci si prefigge il Cielo proseguono costanti i raccoglitori di firme e petizioni, a guardare il dito.
La proposta più sensata sarebbe l’eliminazione di ogni vincolo percentuale, di ogni tipo di quota o numero che minacci e sminuisca l’elemento umano. Quale dignità può essere attribuita ad una persona che siede in un plenum perché è nata col seno? E quale valore dareste alle proposte stilate da costoro?
A livello comunale, provinciale, regionale e nazionale si ripropone sempre la solita tarantella in cui una ragazza sta lì soltanto per meriti non attinenti virtù pubbliche, ma vizi privati. E l’esempio più lampante lo abbiamo avuto con le ministre del Governo Berlusconi. Carfagna, Meloni, Brambilla, quanti sfottò ed illazioni sono stati montati sopra?
L’unica vera tematica che dovrebbe essere sviluppata per legge e potrebbe porre freno al dilagante “sospetto” è la meritocrazia. Essa non ha colori né sessualità. La meritocrazia è l’unico elemento imparziale e corretto per distinguere una persona adatta da una inadatta ad occupare ruoli di potere e controllo.
Lo Stato dovrebbe impegnarsi a rimuovere i vincoli alla partenza e non a promulgare atti volti a facilitare una componente della società perché in deficit numerico in un determinato momento. Ne va della serietà e della dignità dell’uomo che va messo al centro non come soggetto da tutelare, ma come elemento distintivo di un successo o di un insuccesso. Il mercato non guarda gli organi genitali, se un individuo è capace di elevata produttività state pur certi che con i giusti accorgimenti (evitando gli incisivi costi e le paure nell’assunzione delle donne o di altri soggetti ritenuti “sfavoriti”) avranno la “percentuale” che meritano.
Twitter @andrewlorusso
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