La trasmissione televisiva “Controcorrente”, andata in onda il 16 novembre scorso, ha visto la partecipazione dell’Associazione Nazionale Autonomi e Partite Iva attraverso il Coordinatore Nazionale Horeca, Silvio Bessone. Uno dei temi trattati ha riguardato il Reddito di Cittadinanza. Il Presidente Nazionale Eugenio Filograna intende ribadire un concetto che non deve lasciare equivoci a libere interpretazioni.
“Noi siamo contrari al Reddito di Cittadinanza – ha dichiarato il presidente Filograna – non perché non vogliamo dare assistenza ai poveri, ma perché vogliamo stimolare la libera iniziativa ed il lavoro e non l’assistenzialismo a tutti i costi. Oggi ci sono norme che aiutano l’assistenza. La Caritas ha asserito che il RDC viene erogato a 4,7 milioni di persone, molte delle quali sono in grado di lavorare; inoltre, spesso, trattasi di stranieri, a cui sono da aggiungere i furbetti di cui le cronache dei giornali parlano ogni giorno. Ma se ci sono quasi 5 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, cioè non percepiscono alcun reddito, è necessaria piuttosto una legge che sostenga chi è povero e non può lavorare. Essa dovrebbe però chiamarsi “Assistenza alla povertà”.
Il reddito di cittadinanza deve essere produttivo, legato al lavoro sia dipendente sia libero. Noi, Autonomi e Partite Iva, con i nostri dipendenti rappresentiamo tutta questa parte. Il vero problema del nostro Paese è il pregiudizio nei confronti di tutte le partite iva e degli autonomi. Questi ultimi non necessariamente hanno la partita iva e a volte lavorano in nero o con contratti a progetto. Le partite iva riguardano milioni di persone e la somma del loro fatturato costituisce il prodotto interno lordo del nostro Paese. Tra le partite iva abbiamo anche le multinazionali e le grandi imprese.
Il vero pregiudizio è verso le piccole, medie e micro-partite iva. In Italia per micro-partite iva si intendono attività fino a 350.000 euro di fatturato annuo, mentre in Europa per micro-partite iva sono intese quelle che fatturano fino a 2 mln di euro l’anno. Anche questa distonia tra Italia ed Europa sul fatturato delle micro attività genera enormi difficoltà burocratiche, quando le norme europee vengono applicate in Italia.
Il pregiudizio di fondo verso gli autonomi e le partite iva? Evasori fiscali per preconcetto. La domanda spontanea è: “Perché c’è questo preconcetto?” Lo dice l’Istat! Ma l’Istituto nazionale di statistica, che è un ente pubblico di ricerca, non fa il confronto con altri Paesi. Quanto paga di più un autonomo e una partita iva in Italia per svolgere la propria attività nell’arco del suo esercizio annuale? Noi abbiamo fatto il calcolo. La somma è tre volte superiore a quella dell’evasione fiscale che viene addebitata per pregiudizio. Tutto questo ci riporta alla necessità di un risanamento equitativo, del condono o della pace fiscale.
Quando c’è stato il lockdown, gli autonomi e le partite iva sono vissute in una situazione di esasperazione non compresa dalle istituzioni, dai partiti e dai politici. I danni sono stati tanti per le micro attività, molte delle quali ancora oggi non pagano gli affitti da due anni. Per lo Stato il cittadino che non fattura, e quindi non incassa, è un evasore fiscale quando non paga le tasse, anche se non ha il denaro neanche per mangiare. Nonostante ciò mantiene aperta l’attività perché, senza quella, non saprebbe come andare avanti.
Per continuare a svolgere la propria attività si devono accettare costi triplicati rispetto a quelli dei loro concorrenti stranieri. Alla fine dell’anno hanno speso tanto per l’attività d’esercizio e per gli eccessi dello Stato da non riuscire a pagare le tasse.
Sull’evasione fiscale si è costruita una errata politica tributaria. Tutto questo porta alla conclusione che l’evasione fiscale in Italia non esiste se, alla fine dell’anno, gli Autonomi e le Partite Iva hanno pagato tre volte di più, nell’esercizio della propria attività, l’importo che avrebbero dovuto pagare allo Stato come tassazione.
Quello che manca è un lavoro per tutti. Il reddito dovrebbe derivare dal lavoro perché esso porta al prodotto interno lordo. Dobbiamo educare i giovani al lavoro, ad iniziare dalle scuole. Bisogna fare formazione con degli stage già a 14 anni; un mese di stage in seconda media, poi in terza media ecc. Sarebbe l’unico modo per avere un approccio al lavoro e di conseguenza al guadagno. Sono queste le soluzioni da ricercare anche perché, dopo un anno, una persona che è rimasta sul divano di casa diventa un pericolo per la sanità pubblica. Sono infatti aumentati i casi di depressione e di sindrome ansiosa
E’ come chi per ozio inizia a bere e poi non riesce più a liberarsi del vizio. Stessa cosa per i giovani che per gioco iniziano ad assumere erba e poi diventano drogati. Noi non vogliamo un popolo di mantenuti dallo Stato, ma persone che producano reddito in modo efficiente. Io penso che questo sia giusto”, conclude Filograna.