Con la Legge di Bilancio per il 2024 è arrivata, tra i tanti provvedimenti, una brutta notizia per gli italiani residenti in Italia i quali posseggono un immobile situato all’estero.
Infatti il comma 91 dell’articolo 1 della Manovra finanziaria aumenta l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero dallo 0,76 all’1,06 per cento (oltre che l’aliquota dell’IVAFE dal 2 al 4 per mille annuo per i prodotti finanziari detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato).
Ciò significa che le persone fisiche residenti in Italia proprietarie di immobili all’estero, a qualunque uso destinati, hanno ora l’obbligo di versare al fisco italiano la nuova e più elevata Ivie (imposta sul valore degli immobili situati all’estero) che, ricordiamo, fu istituita e disciplinata nel 2011.
Giova ricordare quindi che la legge stabilisce che tale imposta è dovuta in particolare dai proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali per natura o per destinazione destinati ad attività di impresa o di lavoro autonomo; dai titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi; dai concessionari, nel caso di concessione di aree demaniali; ed infine dai locatari, per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria.
Dal 1° gennaio 2016 l’imposta non si applica al possesso degli immobili adibiti ad abitazione principale (e per le relative pertinenze), e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che in Italia non risulterebbero classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
Inoltre è fondamentale sapere che dall’Ivie è possibile dedurre l’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui è situato l’immobile.
Le istruzioni dettagliate sul valore degli immobili da prendere come riferimento per il pagamento dell’imposta sono contenute nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 2 luglio 2012.
Questa circolare stabilisce, in sintesi, che tale valore cambia a seconda dello Stato in cui è situato l’immobile: per i Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo (Norvegia e Islanda) che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore da utilizzare è prioritariamente quello catastale, così come è determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile è situato, per l’assolvimento di imposte di natura reddituale o patrimoniale.
In mancanza del valore catastale, si fa riferimento al costo che risulta dall’atto di acquisto e, in assenza, al valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile; per gli altri Stati, il valore dell’immobile è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, dal valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.
L’aliquota scende allo 0,4% per gli immobili adibiti ad abitazione principale che in Italia risulterebbero classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per i quali è possibile, inoltre, detrarre dall’imposta (fino a concorrenza del suo ammontare) un importo pari a 200 euro, rapportati al periodo dell’anno durante il quale l’immobile è destinato ad abitazione principale.
Tuttavia il versamento non è dovuto se l’importo complessivo (calcolato a prescindere da quote e periodo di possesso e senza tenere conto delle detrazioni previste per lo scomputo dei crediti di imposta) non supera i 200 euro.
L’aumento dell’Ivie sarebbe stato motivato col fatto che così verrebbe equiparata la tassazione degli immobili posseduti all’estero a quella applicata agli immobili tenuti a disposizione in Italia (aliquota IMU). Ovviamente la mancata dichiarazione di beni immobili situati all’estero sottoposti all’obbligo del monitoraggio fiscale, comporta l’applicazione di sanzioni amministrative.
*deputato Pd eletto nella ripartizione estera America Meridionale