Sembra ieri, quando vedevamo Andrè Agassi in abiti sgargianti e pettinature da rock star, che poi abbiamo scoperto posticce per via di una calvizie precoce, aggredire la pallina con la racchetta, dimostrando un grande entusiasmo, voglia di vincere e gaudio nell’alzare un trofeo; e invece era tutto finto. Anzi, quello sport che sembra così bello, per quello che era un numero uno, era un incubo, una prigione e secondo il campione il responsabile era un “padre padrone”. Purtroppo ci sono padri e madri che spingono i figli a fare ciò che non vogliono fare. S’incontrano nelle palestre, nelle piscine, cercando di costruire una macchina fabbrica soldi per attirare sponsor e distruggono l’infanzia dei loro bambini.
“Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio, mi appare l’essenza della mia vita”. Questo dice nella sua biografia il 41enne statunitense ex campione invidiato da tanti, e dice anche d’aver preso i “cristalli”, le metanfetamine per reggere quei ritmi e dare sempre di più.
L’attuale marito di Steffi Graf, padre di due bambini e capo di una fondazione benefica in soccorso ai piccoli poveri della sua Las Vegas, racconta l’angoscia di un bimbo che viveva nella paura del padre (un ex pugile iraniano), che lo voleva campione a tutti i costi. Il padre Mike, genitore violento, era fuggito dall’Iran per diventare maggiordomo al celebre Caesars Palace di Las Vegas e là mise in atto la sua strategia. Mike appese una pallina sopra la culla di Andrè, aveva già deciso, e poi costrinse il figlio ad allenamenti disumani, obbligandolo a colpire un milione di palline l’anno, e Agassi il numero uno lo è diventato davvero, ma attraverso sofferenze e maltrattamenti.
Senz’altro il ragazzo di Las Vegas è stato uno dei più grandi tennisti di sempre, vincitore di otto tornei dello Slam, almeno uno su tutte le superfici, compreso Wimbledon, dove trionfò nel 1992, però di una cosa è certo, odia con tutto se stesso il tennis e invece avrebbe potuto essere felice, vincere comunque e trarre gioia dallo sport, come dovrebbe essere per ogni bambino che ha diritto all’infanzia che a lui è stata rubata.
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