Come ho scritto tante volte, dietro un piatto di una tradizione culinaria vi è una storia o la Storia, quella con la “S” maiuscola. Prendiamo, per esempio, il pesto alla genovese, un condimento noto ai più, ma pochi conoscono la sua vera storia. Esso rappresenta ciò che era la Repubblica marinara di Genova. Basta guardare gli ingredienti. Infatti, l’aglio è di Vessalico, il formaggio pecorino è sardo, il pinolo è toscano, l’olio è delle olive di Taggia, il formaggio Parmigiano-Reggiano viene dalla Pianura Padana, dalle terre emiliane, ed il basilico viene dall’Oriente.
Dunque, in questa nota salsa fredda vi sono ingredienti della terra ligure, delle zone sottomesse all’antica repubblica marinara e delle terre con le quali Genova commerciava i prodotti.
Un discorso storico si può fare anche per altri piatti della tradizione italiana. Per esempio, la soppressata calabrese è chiamata così perché il suo nome deriverebbe da “soppressare”, ossia “legare con soppressa”. Le sue origini risalirebbero al periodo della dominazione greca. Le prime documentazioni certe riguardanti la lavorazione delle carni suine e la produzione di tali salumi si riscontrano in un testo del XVII secolo, precisamente, del 1691. Il testo è intitolato “Della Calabria Illustrata” di Padre Giovanni Fiore da Cropani e cita tra le carni salate, quelle trasformate “in Lardi, in Salsicci, in Suppressate, e somiglianti”.
Un altro esempio è l’arancino, il quale nacque nell’epoca della dominazione araba in Sicilia, tra il IX e l’XI secolo. Gli arabi, infatti, facevano lauti pranzi a base di riso speziato con curcuma o zafferano e sughi di carne. I vari commensali prendevano un po’ di riso da un grosso piatto da portata con le mani e nel riso mettevano un po’ di sugo con la carne ed appallottolavano il tutto. Così nacque l’arancino “nudo”. Poi, con l’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia (26 dicembre 1194-13 dicembre 1250) l’arancino iniziò ad essere impanato e fritto. Il sovrano era molto goloso ed amava l’arancino. Iniziò a farlo friggere per poterlo portare e mangiare nelle battute di caccia.
Insomma, studiando un po’, si può capire che il cibo non è tale solo per lo stomaco, ma anche per la mente. Questo discorso sfugge a molti e così non si conosce la storia della gastronomia italiana, la quale viene spesso imitata e storpiata.