La caccia agli sconfitti e’ partita ancor prima di conoscere i risultati delle amministrative nella loro completezza. Ma rischia di rivelarsi un esercizio inutile. Sconfitta ancora una volta, infatti, appare l’intera classe politica. Compresi i 5 stelle, ultimi arrivati in Parlamento, che sottilizzano sulla differenza tra voto politico e voto locale a dispetto di un calo comunque vistoso. La diffusa astensione che ha contrassegnato il voto e’ il vero risultato politico, l’ennesimo allarmante segnale di protesta e di disaffezione. Giustificato a quanto sembra dall’assenza di carisma dei candidati sindaci in corsa.
In tal senso, la lotta per la poltrona del Campidoglio (che secondo i piu’ vale quanto tre o quattro ministeri) e’ l’espressione perfetta di questa difficolta’. A Roma un elettore su due ha disertato le urne. Certo, il tonfo del Movimento 5 stelle non va sottovalutato, soprattutto perche’ fa seguito all’ analogo insuccesso registrato da Beppe Grillo in Friuli e in Valle d’Aosta. Ma il punto e’ che l’astensione ha messo d’accordo un elettorato eterogeneo, di destra, di sinistra e di centro, quasi che un candidato equivalesse all’altro. E allora non c’e’ molto da esultare nemmeno per il Pd, soprattutto in vista di un ballottaggio che ha sempre un margine di imprevedibilita’. La base grillina rimprovera al suo leader la rinuncia alle partecipazioni tv, i parlamentari 5 stelle hanno la tentazione di attribuire alla stampa una parte della responsabilita’ dell’insuccesso: ma sembrano spiegazioni parziali.
In realta’ la crisi che continua a mordere ha colpito anche gli ultimi arrivati. Molti democratici attribuiscono il brusco calo del M5S alla delusione della base per il no al ‘governo del cambiamento’ proposto da Pierluigi Bersani e rifiutato dal leader genovese: e’ come se la mossa fosse stata giudicata dagli elettori di Grillo un clamoroso errore privo di risultati, dal momento che la situazione economica continua a peggiorare. Una sorta di rivincita postuma dell’ex segretario democratico.
Ma c’e’ dell’altro. Complessivamente le larghe intese non escono male dal voto e nemmeno il Pd che guida ovunque la coalizione di centrosinistra. Sebbene la dialettica interna resti infuocata, nella scia delle vittorie ottenute dai democratici a livello locale ‘nonostante il Pd’ (per usare le parole di Debora Serracchiani), la base non sembra aver voluto punire le ultime scelte dell’establishment. Tutt’altro. Confida negli esiti temporanei della Grande coalizione per poi puntare al rilancio di un ‘nuovo’ Pd.
Naturalmente molto dipendera’ dai risultati che riuscira’ ad ottenere il governo Letta. Su questo fronte tuttavia sarebbe sbagliato nutrire troppe aspettative. Il premier infatti ha spiegato che prima delle elezioni tedesche del prossimo settembre non ci saranno novita’ sul fronte dei vincoli europei.
La stessa archiviazione della procedura d’infrazione a carico dell’Italia sblocchera’ al massimo 8 miliardi di euro sul 2014. Cio’ significa che l’Italia dovra’ provvedere da sola a fronteggiare la disoccupazione (compresa quella giovanile) con i tagli di spesa. Proprio come era costretto a fare il governo Monti. In altre parole, tecnici o politici tutti devono verificare che non esistono scorciatoie. Il vertice europeo di giugno si limitera’ alle solite generiche raccomandazioni e alle dichiarazioni politiche: altro che interventi concreti. L’invito di Giorgio Napolitano a procedere con piu’ determinazione sulla via dell’unione politica, in questo quadro, ha il sapore dell’ astrazione. S’intende che il problema riguarda tanto la sinistra che la destra. Il Pdl non vuole rinunciare a bloccare l’aumento dell’Iva ne’ al taglio dell’Imu, ma in realta’ non si capisce bene dove si possano trovare i fondi per fare entrambe le cose. A meno di aggredire la spesa pubblica con quel piano che si attende da anni ma sul quale hanno fallito finora tutti i governi. Su questo sfondo, il percorso delle riforme non sembra in grado da solo di garantire l’unita’ necessaria della maggioranza.
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